Un intero paese vestito a festa, migliaia di persone che riempiono le vie del borgo medievale, tra bancarelle, spettacoli circensi e luci suggestive. È La Notte delle Streghe, il più grande evento tra quelli che si svolgono d’estate a Castel del Monte, comune di poche centinaia di anime alle pendici del Gran Sasso. Il cuore della manifestazione è uno spettacolo teatrale itinerante che si tiene nelle piazze del centro storico, rigorosamente in dialetto castellano. Un evento nato nel 1996 da un’idea dell’allora sindaco. «Una sera stavo leggendo un passaggio dei quaderni di Francesco Giuliani, un pastore e artista castellano vissuto all’inizio del secolo scorso, in cui si riportava questa antica credenza paesana nelle streghe», racconta Mario Basile, sindaco di Castel del Monte dal 1980 al 2004. «Leggendo pensai: però, ci dovremmo fare uno spettacolo». Così venerdì 13 agosto 1996, una notte di luna piena, con la collaborazione del professor Maurizio Gentile e l’entusiastica partecipazione di tutti i paesani che si prestarono a diventare attori per una sera, venne organizzata la prima edizione della Notte delle Streghe.
Fino agli anni Cinquanta nei borghi delle montagne abruzzesi si credeva che quando un neonato si ammalava e deperiva fosse a causa delle streghe che ne succhiavano il sangue. Quando tutti gli altri rimedi, compresa la medicina, sembravano fallire, rimaneva un’unica opzione: il rito dei sette sporti, che è quello che viene messo in scena durante lo spettacolo. Il bambino andava vegliato per nove notti senza mai cambiargli i vestiti e al termine di questa lunga veglia la madrina di battesimo guidava le donne della famiglia in una muta processione che doveva attraversare sette “sporti”, gli archi sotto le case all’interno del paese. Arrivati a un incrocio, i panni del bambino andavano battuti e dati alle fiamme e si diceva che ogni bastonata sui vestiti venisse sentita dalla strega sulla sua schiena. «Qualche volta capitava che la creatura si guariva», scrive Francesco Giuliani nei suoi quaderni, «e questo rafforzava la credenza nelle streghe».
Mario, sigaro in bocca e cappello di paglia in testa, sorride nel ricordare quella prima edizione quasi estemporanea. «Non c’erano nemmeno le luci, solo le fiaccole per le vie, spegnemmo anche l’illuminazione comunale per rendere l’atmosfera più suggestiva. Nella prima edizione quasi tutte le “streghe”erano uomini truccati», ricorda ridendo. «Partimmo a mezzanotte e pian piano si formò un fiume di gente, forse 2000 persone, che ci seguiva per il paese, anche se l’ultima scena, quella della battitura, la videro in dieci perché era una serata fredda e ventosa e nemmeno si accendeva il fuoco».
Dopo il successo iniziale, La notte delle Streghe è diventata un evento che si tiene tutti gli anni il 17 agosto, il numero della superstizione, e dal 2017 si replica anche il 18, mentre il paese si riempie di stand e bancarelle a tema. Si organizzano decine di turni da oltre cento persone guidate attraverso il borgo dagli organizzatori che, come gli attori, sono tutti abitanti del paese rigorosamente volontari. «Da un lato il fatto che siano solo volontari significa che ci mettono tutta la passione possibile, dall’altro però non si può chiedere un impegno maggiore di quello già profuso» spiega Stefano Coletta, presidente dell’Associazione Culturale Notte delle Streghe. «Siamo una onlus che lavora solo con gli incassi della serata e farebbe comodo avere qualche fondo dalla regione, così da poter coprire le spese che vanno fatte prima della serata, come le luci e le musiche, gli unici settori in cui ingaggiamo dei professionisti». «Io lo faccio per il paese, mi piace il Paese che si riempie di gente come quando ero piccola. E poi mi diverto a calarmi nel ruolo della strega», spiega Erminia Tiozzo, una delle attrici.
Il problema più grande che l’Associazione si trova ad affrontare è quello del ricambio generazionale. «Gli attori sono tutti paesani e i ragazzi che conoscono il dialetto locale e hanno tempo da investire nello spettacolo sono pochi», afferma il vice-presidente, Matteo Mucciante. «Con qualche fondo in più si potrebbero organizzare dei laboratori teatrali che possano riaccendere la passione sia per il teatro sia per il paese, passione che è il vero motore della Notte delle Streghe». Nonostante questa preoccupazione la manifestazione gode di ottima salute e dopo due anni di stop a causa del Covid è tornata ad attrarre spettatori sulle cifre record di alcuni anni fa. «Dover annullare lo spettacolo del 2020 ci è dispiaciuto soprattutto perché doveva essere la venticinquesima edizione e volevamo festeggiarla in grande. Siamo felicissimi e soddisfatti di esserci riusciti quest’anno».
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Uno degli aspetti sorprendenti è l’attrattiva che lo spettacolo esercita su spettatori provenienti anche da fuori regione e in alcuni casi anche dall’estero, nonostante l’uso del dialetto durante le scene. «Ma per me il fatto che siano tutti del posto è proprio ciò che rende l’evento magico» afferma Manuela del Beato, regista delle ultime due edizioni. «Quando sono venuta a Castel del Monte da L’Aquila, Mario mi doveva tradurre il copione parola per parola, ma sono rimasta colpita dalla presenza scenica di gente che non aveva mai studiato recitazione. Soprattutto le donne hanno una forza incredibile», aggiunge ricordando che nel Novecento le donne del paese rimanevano a lungo sole, mentre gli uomini erano in Puglia con le greggi o addirittura a lavorare nelle miniere in Francia, e quindi hanno dovuto sviluppare un carattere molto forte che ora portano sulla scena. «La regista cura i movimenti e le inflessioni della voce», conferma Erminia, «ma quelli che recitiamo sono discorsi che abbiamo sentito davvero dai nostri genitori e dai nostri nonni».
Passeggiando per il paese oggi si vedono scope appese, vassoi di lenticchie dietro le porte (che la strega deve contare una per una prima di poter entrare in casa, così come i rametti delle scope) e ragazze con i classici cappelli a punta. Mario osserva con una nota di disappunto: «Sono contento che si riempia il paese, ma non mi piace che la gente venga come a una sagra. Lo spettacolo si basa sul racconto di una superstizione che nasceva dalla miseria e dal pregiudizio. Le “streghe” erano donne sole, povere ed emarginate che l’ignoranza portava ad additare come tali. Questa è la tradizione che volevo tramandare: non deve diventare Halloween». Un messaggio che è bene ricordare mentre si passeggia di notte tra i vicoli e le case in pietra e sotto una luce spettrale appare una strega vestita di nero che urla e ride, o quando si assiste rapiti alla coreografia della battitura dei panni. Si tratta di una rappresentazione radicata nella storia e nella tradizione di un paese che ha vissuto i drammi della miseria, del sopruso e dell’emigrazione, tutte cose che ritroviamo ben presenti in scena. Ma se alla fine del giro siete rimasti proprio suggestionati, mettere una scopa dietro la porta non costa nulla.