La pioggia non inibisce i manifestanti che scendono in strada con cartelli bianchi, sui quali il nero delle parole «Crime minister: we will fight for freedom and democracy», (ministro della criminalità: noi combatteremo per la libertà e per la democrazia) è una potente accusa al governo che, secondo i cittadini, mette a repentaglio la democrazia israeliana. La piazza è coperta da ombrelli di ogni colore nella notte di sabato. Sono circa 100 mila in totale le persone che hanno manifestato tra le strade di Gerusalemme, Haifa e Tel Aviv dove, solo nella piazza centrale, si sono schierati in 80 mila contro la destra di Benyamin Netanyahu, detto Bibi, e i suoi provvedimenti di riforma della magistratura.
«Si tratta di un attacco al sistema giudiziario, come se fosse un nemico da sottomettere.» Esther Hayut, presidente della Corte Suprema della magistratura, si è opposta al progetto di riforma scandendo chiare parole di denuncia nei confronti della decisione del governo. «La clausola annunciata toglierebbe alla Corte la possibilità di respingere leggi che violano i diritti umani, incluso quello alla vita, alla proprietà, alla libertà di movimento e di parola.»
A essere contestato è il provvedimento presentato dal ministro della giustizia Yariv Levin, che ha l’obiettivo di ridimensionare i poteri della Corte Suprema a favore dei membri del parlamento. Non solo le scelte dei giudici possono essere annullate, ma anche i giudici stessi, attraverso nuove modalità di selezione, sono messi al vaglio dai parlamentari della maggioranza, che aumenterebbero il loro potere corrompendo la trasparenza e l’integrità dell’organo della giustizia, unica salvaguardia della democrazia.
Il paese non dispone di una costituzione che difende i principi intoccabili e i diritti fondamentali dei cittadini, ma affida al potere giudiziario il dovere di monitorare l’operato del governo per la tutela delle minoranze e i diritti civili individuali.
Il 29 dicembre 2022 il neoeletto Netanyahu, leader del partito Likud, ha formato il governo di maggioranza con una coalizione che coinvolgeva due partiti religiosi e un partito ultranazionalista, ottenendo 64 seggi sui 120 totali e divenendo il partito di destra più estremo nella storia del paese. La vittoria, ottenuta con una differenza di circa 20 mila voti, ha dimostrato che l’orientamento politico della popolazione israeliana è profondamente diviso. Ed è proprio «la divisione sociale», secondo Menachem Gantz, consulente della comunicazione tra Italia e Israele e, per lunghi anni, corrispondente da Roma del principale quotidiano israeliano, «il metodo con cui Netanyahu ha sempre governato ma è un limite molto sottile. Sarà da vedere come le istituzioni si comporteranno in risposta a questa fase e come lo stesso sistema giuridico si difenderà e si pronuncerà.» Proprio Netanyahu sembrerebbe il primo a trarre giovamento dalla riforma, vedendo decadere le accuse di corruzione e frode per cui è sotto processo.
«La democrazia non comincia e finisce solo il giorno del voto, la democrazia è anche il diritto delle minoranze, il controllo e la tutela delle istituzioni. La protesta rappresenta la preoccupazione che Israele perda la sua credibilità agli occhi delle nazioni estere», continua Gantz.
Il primo ministro per governare ha riunito partiti di destra che vanno ben oltre le sue intenzioni. La coalizione, che durante le elezioni aveva dimostrato di essere compatta e coesa, a pochi giorni dalla formazione del governo si è rivelata effimera e priva di una visione unitaria, rendendo manifeste le divergenze interne e rivelandosi un pericolo per il futuro di Israele.
Non è di secondaria importanza la questione palestinese. Nei primi giorni di gennaio, l’Assemblea generale dell’Onu, su richiesta dell’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), ha votato sulla possibilità di produrre un’opinione legale sulle «conseguenze dell’occupazione, la colonizzazione e l’annessione israeliane». A favore si sono espressi 87 paesi, l’Italia è fra i 26 contrari. Lo scorso anno uno studio di Amnesty International ha dichiarato che Israele pratica l’apartheid nei confronti dei palestinesi. Nel Paese il 20% della popolazione è palestinese e ha meno diritti degli ebrei israeliani, pur essendo rappresentata da alcuni partiti nella Knesset.
Nonostante la questione palestinese rappresenti una piaga per il popolo israeliano, in questo momento i cittadini sembrano temere di più il loro nuovo governo.