«Per tutti i bambini e le bambine che mi somigliano e mi stanno guardando stasera, questo è un faro di speranza e di possibilità», Michelle Yeoh ringrazia così l’Academy stringendo fra le mani un Oscar fino all’ultimo momento conteso con Cate Blanchett nella categoria “più bianca” di sempre nel premio, quella a miglior attrice protagonista.
In novantacinque edizioni, infatti, la vittoria di domenica scorsa è soltanto la seconda di una donna non bianca. La prima fu Halle Berry, per Monster’s Ball, presente anche sul palco alla consegna del premio a Yeoh.
Una frase in apparenza banale e di circostanza come quella pronunciata dall’attrice, acquista dunque un senso più profondo se messa in relazione con il contesto da cui nasce.
Secondo l’Hollywood Diversity Report 2022 dell’Università di Los Angeles (UCLA) infatti l’industria cinematografica si muove ancora a un ritmo più lento rispetto ai gusti, alle aspettative e alle richieste del pubblico. Quattro film su dieci hanno come protagonisti personaggi appartenenti a minoranze non bianche, proporzione che quest’anno non si è riproposta, per esempio, nelle cinquine degli attori principali. Su circa duecento titoli del 2022 presi in esame, ossia quelli con il maggiore incasso, inoltre, soltanto quattordici vedono interpreti asiatici in ruoli preminenti.
Al tempo stesso le abitudini di consumo, soprattutto sulle piattaforme (dove raggiungono successo globale serie come Pachinko o Squid Game) raccontano come negli Stati Uniti si è passati dalla retorica razzista del personaggio asiatico che “non è da box office” e che non riesce a vendere il proprio film al pubblico, al trionfo agli Oscar di Everything Everywhere All at Once dei Daniels, in cui l’identità asiatica, nello specifico cinese, è raccontata dalla prospettiva interna del cast e dal co-regista e co-sceneggiatore Daniel Kwan.
Un caso poco frequente a Hollywood, dove il 67,7% degli sceneggiatori è bianco e quindi scrive storie per un pubblico simile e affine, per aspetto e per esperienza, generando già nella prima fase uno scarto e una lontananza con la realtà. Per riconoscersi nel film – e riconoscersi come individuo – è necessario infatti specchiarsi nei personaggi rappresentati, già a partire dalle parole con cui si sceglie di costruirli.
Vedere una donna – cinese come Michelle Yeoh- di sessant’anni attraversare un multiverso e vincere un Oscar, per una bambina che le somiglia è l’apertura a una serie enorme di possibilità. È in parte lo stesso fenomeno che ha messo in atto il rivoluzionario Black Panther (2018) della Marvel, in cui la presenza di un (super)eroe nero era più importante del film in sé, tanto da diventare fenomeno sociale e culturale.
Non si tratta di politically correct, come spesso ci si riferisce ai film che fanno dell’inclusività il loro punto di forza, ma di un meccanismo di riconoscimento che è parte stessa dell’esperienza cinematografica: vedersi sullo schermo, riconoscersi l’un l’altro e diventare parte di una comunità a tutti gli effetti.
Non solo film d’autore indipendenti, come quello dei Daniels, ma anche commedie più leggere – di Netflix – come Beef con Steven Yeun e colossal dell’asia sudorientale come RRR allargano gli orizzonti del pubblico, della critica e dei premi.
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