Può definirsi «l’orecchio radiofonico del gruppo». Fabrizio D’Alessio, attore di formazione e conduttore radiofonico, ha condiviso con altri quattro fortunati l’emozione e il privilegio di far parte della famosa – e per molti temibile – giuria tecnica che decide ogni anno a chi assegnare i fatidici twelve points, ossia il massimo a cui ogni concorrente dell’Eurovision Song Contest possa aspirare. Quest’anno, la media tra i cinque giurati italiani ha premiato la giovanissima Noa Kiral (Israele) e la sua Unicorn, seguita dai Tvorchi (Ucraina, 10 punti) con Heart of Steel e Loreen (Svezia, 8 punti) con Tattoo, premiata anche dal pubblico e vincitrice del contest.
«La mia prima preferenza era però l’Ucraina. Il brano dei Tvorchi era una proposta internazionale, sia nelle sonorità – poteva sembrare un Drake! – sia nell’uso della lingua, che univa inglese e ucraino. L’ho trovato un modo per dimostrare al mondo quanto l’Ucraina sia in grado di inserirsi nel contesto internazionale pur rimanendo sé stessa» racconta D’Alessio. «Anche di Tattoo di Loreen ho apprezzato l’efficacia dal punto di vista dell’orecchiabilità: in giuria ho portato il mio background da conduttore radiofonico, e premiare la Svezia è stato inevitabile».
Il podio finale, ottenuto con la somma dei voti date dalle giurie tecniche di ogni paese, e il televoto hanno premiato dei pezzi molto diversi tra loro e rispetto alle scorse edizioni è emersa una nuova tendenza: il pubblico ha preferito brani più di performance – caratteristica comunque imprescindibile dell’Eurovision – che esplicativi di un messaggio sociale, come spesso è avvenuto in passato. È il caso della vittoria della prima cantante transgender, Dana International, nel 1997, o di Conchita Wurst, nel 2014. Oppure, sul tema femminismo ed empowerment femminile, di Toy di Netta Barzilai, che ha vinto nel 2018.
Ma se è vero che il pubblico ha ridato altra vita alla performance, c’è da tener presente anche che «ogni partecipante arriva all’Eurovision attraverso una selezione diversa – chi attraverso uno show televisivo, chi attraverso la radio – e che ogni paese porta con sé una cultura musicale differente. Se noi con Sanremo cerchiamo di premiare più il testo e il significato di una canzone, altre nazioni preferiscono brani dalle caratteristiche musicali più dirompenti, come appunto l’aspetto coreografico».
“United by music” è stato lo slogan di Liverpool
Tradizionalmente espressione di movimenti geopolitici ma mai “efficace” in politica, però, l’Eurovision 2023 di Liverpool è stato tutt’altro che apolitico: solo, non lo è stato nella musica. Nonostante la European Broadcasting Union – che si occupa di organizzare l’evento – non abbia permesso al presidente Zelensky di mandare un messaggio durante il festival, le due semifinali e la gran serata di chiusura hanno insistito a gran voce sul sostegno all’Ucraina. «A posteriori, direi che aver dato voce agli artisti che raccontano il proprio popolo è stato più efficace di avere un personaggio politico sul palco. Le performance dedicate al paese in guerra nonché la scelta della conduttrice sono riuscite a inserire l’Ucraina in un contesto europeo, accogliendola senza riserve».
Dai colori della manifestazione – giallo e blu, come la bandiera del paese invaso – alle dediche musicali, l’Eurovision 2023 ha lasciato che il suo intrattenimento si trasformasse in dichiarazione politica. Consapevole di quanto l’arte sia capace di colpire l’anima del suo pubblico.
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