«Finché non spiegheremo quei suoi gesti in una dinamica sociale ciò che è successo a Giulia sicuramente continuerà ad avvenire e ci racconteremo ancora bugie: che era inevitabile, che non si poteva prevedere, che non ci si poteva fare niente, perché il soggetto era matto, strano, un mostro». Una parola che per Lorenzo Gasparrini, scrittore e filosofo femminista, nel caso del femminicidio di Senago di Giulia Tramontano, 29enne incinta di 7 mesi, non fa altro che dipingere il colpevole in un unico modo: un’anomalia.
Lorenzo Gasparrini è un uomo che parla di femminismo e studia le dinamiche sociali del patriarcato che portano il genere maschile a compiere un certo tipo di azioni violente. Non se ne sentono tanti di uomini a cui viene lasciato il campo libero per parlare di violenza sulle donne. Eppure, lui lo fa con sapendo che un certo tipo di cose non le può sentire sul suo corpo ma le può solo vivere nei racconti delle donne, con la consapevolezza che ciò di cui parla ha proprio quel nome, femminismo, e non avrebbe senso inventarne un altro. «Non voglio occupare uno spazio che è già occupato. Io cerco di occuparmi, invece di quello spazio nel quale ancora c’è molto da fare: parlare agli uomini, perché a loro pochissimi parlano del loro ruolo di genere, dei problemi della loro identità di genere».
«Definire un uomo che ha commesso un femminicidio o una forma di violenza sulla propria compagna come mostro è una forma di delegittimazione. Questa delegittimazione avviene appunto con la costruzione di un racconto sociale che esclude il genere maschile dalla distribuzione di responsabilità sociale di fronte a un evento tremendo come un femminicidio», continua Gasparrini. «E tutto questo è un processo messo in atto per non mettere in discussione l’intera educazione al maschile da parte di un genere. Così diventa più facile prendere l’individuo che ha avuto questo comportamento, certamente socialmente riprovevole e lo dipingo come mostro. Che vuol dire mostro? Eccezione, il diverso, quello strano, l’anomalia».
Eppure, mostri non si nasce. Il mostro è costruito socialmente. «Proprio perché è una costruzione sociale dovremmo interrogarci su che cosa è successo dal momento della nascita a quel gesto che ha lentamente portato quel soggetto ad ammettere l’uccisione della sua compagna come – diciamo così – una delle cose possibili una delle scelte che si possono fare tra le tante che aveva a disposizione».
Il punto è proprio questo: il femminicidio non è un problema che riguarda un mostro o che riguarda un amore malato. E l’interrogarsi sull’educazione al maschile, per Gasparrini, non significa etichettare tutto il sesso maschile come colpevole. «Tra responsabili e colpevoli c’è una bella differenza, nessuno vuole prendere tutto il genere maschile e renderlo colpevole. Ma in questa educazione al maschile c’è evidentemente qualcosa che non va se un certo numero di soggetti, per quanto pochi, arriva ad ammettere possibile quel gesto di violenza».
Per Gasparrini, tanti o pochi che siano a raggiungere questa strada, poco importa: la strada non scompare. E «se noi ci raccontiamo che quello era un mostro, che era diverso, che era l’eccezione, che come una sorta di fenomeno atmosferico era qualcosa di sicuramente imprevedibile, continuiamo a non affrontare il vero problema e a rimandarlo al femminicidio successivo».
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