Dalle lezioni di storia alle esercitazioni di matematica, ChatGPT è destinato a rivoluzionare l’istruzione e l’educazione di giovani donne e uomini, ma in che modo? In questa fase di transizione, sono ancora molte le domande e i dubbi che attanagliano studenti e professori. Ci si chiede se questa rivoluzione porterà a un apprendimento più personalizzato, coinvolgente e stimolante o se, nel peggiore dei casi, contribuirà a un appiattimento del pensiero critico e delle capacità logiche-argomentative di chi si forma per diventare cittadino del futuro.
Una scuola di Robot?
C’è chi teme che ChatGPT possa sostituire del tutto i professori e la scuola così come l’abbiamo concepita finora. La scrittrice ed ex insegnante di lettere Paola Mastrocola il 24 maggio scorso scriveva questo su La Stampa: «Liberi dagli insegnanti, dalle lezioni, dalle materie, dai voti, dalle classi e dai banchi – e ovviamente anche dai libri, ormai tutti incorporati in Chat e poi da lui gentilmente restituiti in polvere -, saremo liberi finalmente dalla scuola in sé». Il suo è un punto di vista scettico sulle potenzialità di uno strumento, che teme possa avere delle conseguenze più negative che positive sul mondo dell’istruzione.
La sua preoccupazione non è isolata: dall’America all’Italia, sulle pagine dei giornali e tra i corridoi delle scuole è cominciata una battaglia contro l’Intelligenza Artificiale, il più delle volte condotta in termini sensazionalistici. «Tutte le volte che strumenti come questo – pensiamo anche alle LIM o agli Ebook – si sono affacciati sulla soglia della scuola, ci si è accontentati di un’etichetta breve per descriverli. Ma se tu analizzi poco e male i dispositivi, rischi di esserne prigioniero: li sottovaluti e li sprechi, perché non ne cogli rischi e potenzialità». Marco Guastavigna è un ex docente di materie letterarie, oggi formatore e tutor di Nuove Tecnologie per l’apprendimento nei corsi di formazione al sostegno: ha cominciato a sperimentare con ChatGPT appena è stato reso disponibile, raccogliendo in un blog tutti i giochi con cui mette alla prova la chat.
Secondo lui, l’incapacità del discorso pubblico di andare oltre una “questione referendaria” sullo strumento – sì o no a tutti i costi – impedisce la costruzione di un’adeguata consapevolezza sul suo funzionamento: «Anziché provare a sperimentare, giocare e analizzare si è preferito ricorrere a questo schema: accettazione acritica da una parte e rifiuto a priori dall’altra. Parlare di ChatGPT solo in termini di distruzione creativa è un’occasione persa per imparare a definire e a descrivere gli oggetti con un linguaggio autonomo e, quindi, comprenderli». Un vuoto analitico e concettuale che Guastavigna ha provato a colmare: il docente preferisce definire questi dispositivi come «assistenti alle attività cognitive a conversazione simulata che si comportano da agenti». Perché assistenti? «Perché il focus dell’attività cognitiva resta su di me. ChatGPT è un’agente, non un autore: ciò significa che è in grado di simulare una conversazione o di scrivere un testo, ma sempre sulla base di indicazioni – i cosiddetti prompt – che riceve da colui che rimane il vero autore».
In questa prospettiva, il termine Intelligenza Artificiale, così tanto genericamente abusato, appare riduttivo se non anche fuorviante: «Uno dei concetti che non è passato minimamente è il fatto che siamo di fronte a mega macchine fondate su capacità statistico-predittive, che si chiedono: qual è la parola che più probabilmente segue questa? Oppure: qual è la parola che segue più probabilmente queste due? Invece, si è preferito accettare una definizione di marketing generica di Intelligenza Artificiale, più legata a un’idea fantascientifica di progresso». Macchine come ChatGPT non sostituiscono i processi cognitivi umani, ma sono programmati per imitarne le prestazioni: agiscono su base statistica per raggiungere un obiettivo e il loro apprendimento avviene senza che loro “comprendano” cosa stiano facendo.
«ChatGPT dovrebbe essere visto come uno dei tanti dispositivi che il nostro cervello ha per emanciparsi ulteriormente, e che permetterebbe agli insegnanti di fare meno per fare di più. Lo schema entro cui dovremmo riflettere è questo: io ti uso perché come dispositivo possiedi capacità esecutive non superiori, ma che puoi mettere in campo a grande rapidità. Il controllo lo mantiene l’essere umano, e l’oggetto esegue solo il compito per cui è stato programmato», conclude Guastavigna.
ChatGPT come alleato intelligente dell’istruzione? Esempi virtuosi di utilizzo in classe
«ChatGPT può essere uno strumento efficace da affiancare al lavoro quotidiano», sostiene Riccardo Giannitrapani, professore di matematica e fisica del Liceo Scientifico Marinelli di Udine. Ha iniziato una sperimentazione con le sue classi di terza e quarta superiore ormai da mesi ed è consapevole sia delle potenzialità che dei limiti di questa nuova tecnologia. «In matematica ChatGPT fa moltissimi errori. Quando uno prova a farle risolvere un tipico problema che può essere leggermente analitico o da terza superiore, solitamente sbaglia. Questo accade perché non funziona come un algoritmo risolutivo, ma cerca di generare una risposta che sia il più possibile attinente a quello che ha appreso nella fase di addestramento. Per cui dà risposte sbagliate, ma che, se uno legge in maniera un po’ superficiale, sembrano corrette. Scherzando in classe dicevo: “è come avere uno studente che ha studiato un po’ male, per cui si ricorda alcune cose che dice correttamente, ma che poi applica male”».
Giannitrapani però ha trovato il modo di sfruttare anche questo tipo di limite a favore dell’apprendimento, dicendo ai propri studenti di scovare e spiegare gli errori fatti dal chatbot. «Poi, come lavoro per casa, dovevano trovare il modo di orientare l‘Intelligenza Artificiale a dare la risposta corretta. Ritengo che questo sia un esercizio importante, per uno studente che sta sperimentando idee nuove: provare a spiegarle a qualcuno spesso aiuta e non tutti abbiamo parenti, fratelli o sorelle a cui rivolgerci».
Un altro aspetto interessante che è emerso dalle sperimentazioni in classe del professore è la possibilità di imparare e confrontare teorie scientifiche, dialogando con la chat. «Le abbiamo detto: “D’ora in poi rispondimi facendo finta di essere Newton”. A quel punto gli studenti hanno preparato un’intervista per Newton, a cui hanno chiesto qual è la sua idea di tempo o di spazio. Dopo un po’ di domande, abbiamo chiesto a ChatGPT di impersonare anche Einstein, e abbiamo scoperto in modo diverso come cambia la visione del tempo e dello spazio secoli dopo. Chiedendo non dei calcoli, ma dei concetti, la chat riesce a costruire un discorso molto più coerente e corretto».
Il problema del voto: si valuta il pensiero o il risultato?
Certo, le paure dei professori rimangono sempre, soprattutto quella che gli studenti possano copiare più facilmente e senza essere scoperti, ma per Giannitrapani si tratta di un finto problema. «Se la mia domanda, che determina una valutazione a uno studente, è tale che anche un’intelligenza generativa come ChatGPT può rispondere correttamente, forse è la domanda che non va tanto bene».
Secondo il professore, questo nuovo strumento potrà cambiare anche le modalità con cui si valuta uno studente. «Un po’ come fece la calcolatrice: quando non c’erano le calcolatrici tascabili, una competenza tipica degli studenti era fare i calcoli, con i regoli o con le tavole logaritmiche. Oggi con le calcolatrici nessuno chiede più a uno studente di fare un calcolo a mano con tre cifre decimali corrette in quarta superiore, perché è una cosa che fa la calcolatrice. La tecnologia cambia anche il tipo di competenze che noi richiediamo in ambito didattico».
La chat potrebbe anche essere usata per costituire un tutoraggio specifico in alcune materie: può diventare un tutor attivo che dialoga con lo studente per farlo esercitare nella composizione scritta sia in italiano sia nelle lingue straniere. L’introduzione nelle classi di modelli di linguaggio generativi può avere conseguenze positive sull’integrazione. «La chat risulta molto utile per gli alunni NAI (Nuovi arrivati in Italia) perché li aiuta a superare le difficoltà dovute alla scarsa conoscenza della lingua, come mi è successo con una piccola rifugiata ucraina», spiega Mauro Cerritelli, docente di musica alla scuola media. «L’AI permette anche di sviluppare metodi didattici interattivi che stimolano l’interesse dei ragazzi con disabilità cognitive, oltre ad offrire strumenti di assistenza vocale», aggiunge Alessandro Cerritelli, insegnante di sostegno che utilizza l’Intelligenza Artificiale per aiutare i ragazzi disabili a sentirsi maggiormente parte della classe. «La cosa fondamentale è che questi strumenti contribuiscano a superare le disparità e non rischino invece di aumentare il divario tra chi ha maggiori disponibilità di strumenti informatici a casa e chi ne è sprovvisto».
Docenti e studenti a confronto: cosa pensano oggi
Per renderci conto del tipo di approccio che c’è nella scuola italiana nei confronti del fenomeno, abbiamo organizzato un sondaggio a cui hanno partecipato 78 docenti: di questi solo il 20,5% (16 persone) ha dichiarato di aver fatto uso di ChatGPT per scopi professionali, mentre il restante 79,5% ha ammesso di non conoscerlo o di non ritenere di avere abbastanza competenze da poterlo utilizzare nella didattica o ancora di conoscerlo, ma di ritenerlo dannoso per l’apprendimento. Tra chi ha risposto di essersi avvalso di questo strumento di Intelligenza Artificiale per l’insegnamento, il 62,5% è un insegnante di sostegno, il 12,5% di lettere, un altro 12,5% di inglese, il restante 12,5% di materie varie. A tal proposito è giusto mettere in evidenza che, quale che sia la materia trattata dal docente, ChatGPT si rivela essere uno strumento molto funzionale per attività di semplificazione del materiale didattico (schemi, riassunti, mappe), specie per gli alunni che presentano un qualche tipo di fragilità.
Concordemente con quanto emerso fin qui, i risultati del sondaggio mostrano che alcuni docenti hanno scelto di non fare uso dell’Intelligenza Artificiale nel loro lavoro, perché ritengono possa avere degli effetti negativi sugli studenti. In particolare è piuttosto diffusa la preoccupazione in merito al ruolo di ostacolo che potrebbe svolgere la chat nell’offrire “risposte pronte” agli studenti, limitando in questo modo lo sviluppo del loro senso critico.
L’opinione espressa dal professore di un istituto tecnico riassume quelle espresse da numerosi suoi colleghi: «Quello che sto osservando negli ultimi anni è la difficoltà dei ragazzi di fare collegamenti, di usare la logica, di prestare attenzione, insomma di spremere le meningi per risolvere problemi (anche nel quotidiano) e soprattutto una diffusa mancanza di curiosità verso tutto. Mi sto quindi convincendo che forse la causa di tutto sia da ricercare nell’uso, o meglio abuso di smartphone. Grazie a lui tutto si raggiunge facilmente, togliendo così il gusto della conquista dopo lo sforzo fatto, dopo l’impegno per raggiungere l’obiettivo. Allora mi chiedo se sviluppare ulteriore tecnologia, Intelligenza Artificiale, che entrerà diffusamente nelle nostre vite, benché si tratti di un processo inarrestabile, servirà veramente a formare generazioni più competenti». Un’altra preoccupazione diffusa tra gli insegnanti è quella di poter essere sostituiti dall’AI. «Abbiamo bisogno di menti e di insegnanti non di computer e idee artificiali. La scuola ha bisogno di persone e non di robot», dice un’insegnante di sostegno di una scuola primaria in Calabria.
Un’opinione che si scontra con quanto affermato dal sopracitato professor Giannitrapani. «Io penso che siano al momento paure immotivate, la tecnologia va veloce e quindi quello che succederà fra qualche anno non lo sappiamo. Penso però che sia sempre qualcosa che si possa gestire. Il rapporto umano in classe è quello su cui dobbiamo investire e questo è chiaramente insostituibile: ben venga l’idea che si possa dedicare più tempo alle persone è un po’ meno tempo agli aspetti tecnici».
Anche agli studenti del Liceo Tito Lucrazio Caro e del Liceo scientifico Primo Levi è stato sottoposto un sondaggio. In questo caso è emerso che oltre il 57% dei ragazzi ha utilizzato ChatGPT per ragioni scolastiche.
Ciò che risulta interessante notare è che in molti utilizzino questo strumento di AI come sostitutivo dei motori di ricerca, in quanto, come sostenuto da un partecipante al sondaggio, è in grado di «prendere informazioni che rielabora rendendole sintetiche e applicabili al tuo ambiente di studi. Permette anche di porre domande specifiche e ottenere risposte specifiche».
Prospettive future
«Sicuramente, la prima area critica che la scuola sarà costretta a ripensare è costituita dal metodo di valutazione, dalla correzione degli esercizi e dalla programmazione dei compiti in classe». A dirlo è Paolo Ferri, docente di Tecnologie per la formazione alla Bicocca di Milano. «Dal momento che ChatGPT può fornire agli studenti risposte complete, ci sarà un sovvertimento delle attuali tipologie – un po’ “istruzionistiche” – di valutazione. Oppure: se chiedi agli studenti di fare un riassunto e di fare una parafrasi, ciò diventa un problema per lo svolgimento dei compiti – anche perché probabilmente molto presto Microsoft ingloberà ChatGPT in Office. In futuro, si prevede che diventerà ancora più centrale il ruolo dell’insegnante, che deve agire su un doppio binario. Da un lato è lui stesso che deve allenarsi su come utilizzare la chat, sperimentando in prima persona, dall’altro deve capire come educare i ragazzi al rapporto con i nuovi strumenti. Un modo efficace di usare gli strumenti generativi, evitando che commettano errori grossolani, è quello di allenarli con pezzi tratti dal libro di testo». Un’osmosi che potrebbe portare a ripensare anche l’editoria scolastica con schemi nuovi, puntando di più sull’interattività. Dal lato delle criticità si pone invece la problematica del diritto d’autore in quanto «dentro al pre training di chat ci sono anche tutte le pagine web dei libri scolastici, e si aprono questioni grosse della proprietà intellettuale dei testi», senza contare i contributi che gli insegnanti cominceranno a produrre, conclude Paolo Ferri. La macchina ridefinisce i temi stessi della discussione. Quello che non cambia è il ruolo strumentale della chat che, allo stato attuale, non può surrogare i rapporti umani che si instaurano tra docente e professore, né tanto meno sostituire le capacità di pensiero dell’uno o dell’altro.
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A cura di: Alissa Balocco, Giulia Moretti, Silvia Stellacci e Silvano D’Angelo