Esclusiva

Dicembre 12 2023.
 
Ultimo aggiornamento: Dicembre 15 2023
Il romanzo del delitto

Il racconto dei media e le reazioni sui social del femminicidio di Giulia Cecchettin. Il delitto ripreso anche dalla stampa estera.

Preoccupazione e speranza, rabbia e accusa. Sono queste le fasi principali del racconto mediatico sulla vicenda di Vigonovo. Filippo Turetta e Giulia Cecchettin erano solo una coppia di giovani ragazzi scomparsi fino al 18 novembre scorso. All’inizio era considerata una «fuga d’amore», alcuni media hanno ipotizzato che Giulia fosse addirittura consenziente.

Poi il ritrovamento dei filmati in cui l’ex fidanzato aggredisce la 22enne. È in quel momento che i media italiani parlano di «tentato omicidio». Alcuni sembravano già coscienti di quale verità si celasse dietro l’angolo: «dopo così tanti giorni di silenzio sono in pochi a credere che Giulia si sia allontanata volontariamente assieme all’ex fidanzato», scrive il Messaggero. Minuziosi i dettagli sulle tracce lasciate dall’aggressore che le principali testate italiane hanno riportato. I capelli, il sangue e l’automobile sono i tre elementi chiave usati per ricostruire la vicenda. 

Il corpo di Giulia viene poi ritrovato e le parole di speranza lasciano spazio a rabbia e crudità. «Picchiata, accoltellata e trascinata in un dirupo», così il Corriere della Sera racconta il femminicidio commesso da Filippo Turetta. Il luogo del ritrovo è il lago Barcis, una distesa d’acqua artificiale in provincia di Pordenone protagonista di svariati sport acquatici quali vela, surf, canoa e kayak. I media narrano di un sito «da innamorati, con il foliage da fotografare», lo illustrano ai lettori come posto magico con una dose di romanticizzazione. 

Le descrizioni dei luoghi, dei percorsi e dei momenti dell’aggressione diventano immagini, disegni, didascalie e mappe, lasciando poi spazio ai minuziosi profili della vittima e del suo carnefice. Giulia Cecchettin viene chiamata per nome, percepita e narrata come l’amica, la figlia e la sorella di tutta Italia. Filippo Turetta è raccontato citandone spesso solo il cognome, quasi a sottolinearne un distacco emotivo. Numerose testate citano le parole del padre dell’assassino: «era il figlio perfetto», mostrando vicinanza non solo alla famiglia della ragazza uccisa ma anche ai genitori inconsapevoli del killer.

I telegiornali danno voce al dolore di Elena e Gino Cecchettin, la sorella e il padre di Giulia. «Filippo Turetta è un figlio sano della società patriarcale», le parole dell’ultima donna rimasta della famiglia Cecchettin vengono riportate da tutte le televisioni nazionali. La fase delle accuse ai vertici politici di non essersi spesi abbastanza per fermare i femminicidi precede la documentata discesa in piazza delle femministe e i messaggi di solidarietà del Presidente Giorgia Meloni e della segretaria del PD Elly Schlein. Nei giorni successivi i quotidiani riportano la furia femminista riversatasi nelle piazze di tutta Italia «se toccano una di noi toccano tutte». I numeri dei femminicidi riecheggiano in tutti i media, il dato parla chiaro: Giulia è la centotreesima donna uccisa in Italia dall’inizio del 2023. Il Giornale risponde «accusano il governo, non il killer». La vicenda non è più “solo” un altro femminicidio: è diventato un caso di Stato: vengono infatti sottolineate le dispute politiche scaturite: «la sinistra punta il dito sul “maschilismo” veicolato dalla destra».

Il caso di Giulia Cecchettin ha sollevato rumore mediatico, come quello richiesto dalla sorella Elena e riportato poi dai principali tg italiani. Anche Natalia Aspesi si ritrova in questo pensiero: «il patriarcato ci invidia la felicità». Sono queste le sue parole su la Repubblica alla vigilia della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

«Patriarcato e colpa dei maschi, ci avete sbomballato i c******i con questi due concetti. La colpa non è collettiva». Il conduttore radiofonico Giuseppe Cruciani nel programma radiofonico La Zanzara reagisce così alle accuse generalizzanti mosse dalla sorella: «migliaia di uomini ogni giorno vengono lasciati e non uccidono. Non c’entra niente il patriarcato». Si accoda a questo pensiero anche Libero che intitola la prima pagina “Caccia al maschio”.

Opinioni su chi detenesse la colpa ce ne sono state tante. Patriarcato, cultura dello stupro, ossessione, raptus. La giornalista Concita De Gregorio interviene durante il programma È sempre cartabianca spiegando perché l’uccisione di Giulia Cecchettin abbia avuto questa risonanza in Italia e nel mondo: «è successo al nord tra due persone italiane della stessa età, appartenenti a una media borghesia e sufficientemente colte. Non avevano nessuna differenza fra di loro che non fosse il sesso». Se la stampa tradizionale non si limita a riportare gli sviluppi del caso di Giulia Cecchettin e Filippo Turetta ma spesso lo condisce con una narrazione romanticizzata, sui social si fa invece spazio un movimento di critica che nasce con un post della pagina Instagram nonunadimeno

«Violenza mediatica» è ciò che si legge a caratteri fucsia su sfondo bianco in un post che verrà ricondiviso a catena su pagine Instagram dedicate ad attivismo e violenza di genere, intente a denunciare le modalità con cui la vicenda è riportata da telegiornali e stampa «Chiamiamo questo pessimo giornalismo “violenza mediatica”, che è uno dei tanti modi in cui si esprime il patriarcato». L’accusa è quella di strumentalizzazione della vicenda, un racconto che l’ha trasformata in una «telenovela» minimizzando e normalizzando i segnali di un annunciato caso di violenza. 

Sarà la sorella Elena a rivestire un ruolo decisivo nella mobilitazione collettiva sul web. Poche ore dopo il ritrovamento del corpo della sorella, è con una story sul suo profilo Instagram siderealfire che Elena esprime la sua rabbia attribuendo la responsabilità della morte della sorella Giulia allo «stato patriarcale italiano». Le sue parole scatenano un’immediata polarizzazione delle posizioni sul tema: da un lato chi vede in lei il simbolo di una coraggiosa lotta femminile, dall’altro denigrazioni per aver imputato ad una società definita patriarcale un ruolo nella violenza femminile.

La notizia dell’omicidio di Giulia Cecchettin dà così inizio ad uno scontro più ampio, quello contro il ruolo predominate del genere maschile con i suoi risvolti violenti, i femminicidi, di quella società a gran voce smascherata come patriarcale. Su Instagram, X, Facebook e Tiktok, diventa virale la poesia dell’attivista peruviana Cristina Torre Cáceres scritta nel 2011: «Se domani sono io, mamma, se domani non torno, distruggi tutto». Le condivisioni della poesia si aggiungono a quelle del post della scrittrice femminista Valeria Fonte che riporta: «È stato il vostro bravo ragazzo». Le due frasi diventano il simbolo di battaglia di cui si fanno portavoce donne, attiviste, divulgatrici, pagine web, personaggi dello spettacolo che rilanciano «per Giulia, bruceremo tutto» rivendicando giustizia per lei e per tutte le altre donne.

Le citazioni della ricerca online “Giulia Cecchettin” sono 8 milioni nella settimana successiva al ritrovamento del corpo. «La violenza sulle donne è una velenosa gramigna che affligge la nostra società e va eliminata dalle radici» scrive Papa Francesco su X, mentre la diffusione di post, reels, tiktok, che parlando di differenza di genere, che imputano alla società patriarcale un ruolo nei femminicidi, rendono la morte di Giulia Cecchettin non più solo un caso di cronaca ma l’inizio di una mobilitazione. Le accuse di Elena sul caso della sorella arrivano alla stampa estera. Il Guardian, quotidiano britannico, riporta le parole di Cristina Gamberi ricercatrice dell’università di Bologna «Con Giulia c’è qualcosa di diverso, e nella mia lettura, ciò che è diverso è sua sorella Elena». Elena sui social raggiunge i 176 mila follower, si oppone alla richiesta del governo di far osservare nelle scuole un minuto di silenzio per la sorella, chiedendo invece di fare rumore e mirare ad una diffusa educazione sessuale e affettiva e il finanziamento di centri antiviolenza.

Il suo ruolo da portavoce smaschera però anche un sentimento avverso, quello di colpa, di cui il genere maschile non intende sentirsi far carico «La sorella della sfortunata Giulia – scrive Cesare Mevoli, consigliere di Brindisi di Fratelli d’Italia – sale in cattedra e senza che nessuno glielo chieda, colpevolizza e detta le regole che tutti gli uomini devono pedissequamente osservare». 

Elena Cecchettin viene così attaccata per aver imputato alla società maschilista un ruolo nella morte della sorella, ma anche per il suo abbigliamento -una felpa nera- che le fa guadagnare l’appellativo di “satanista” da Stefano Valdegamberi, consigliere veneto della Lega che su Facebook scrive «altro che società patriarcale o non patriarcale»; il web segue la scia delle affermazioni e su X si apre un dibattito dove screenshot delle fotografie presenti sul profilo Instagram di Elena Cecchettin sono sottoposte all’analisi degli utenti.

Nessuno rimane in silenzio sui social, nemmeno la Polizia di Stato italiana che condivide la scritta «Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto. Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima». Il post raccoglie oltre 5mila commenti di donne che hanno raccontato di essersi rivolte proprio a chi avrebbe dovuto proteggerle in situazioni di pericolo e violenza, senza però ricevere aiuto. I commenti, prima nascosti e poi riattivati dalla pagina, vengono però pubblicati su X con numerosi screenshot: «Stalking. Seguita fin sotto casa, lui appostato sotto la finestra ore e ore, sistematicamente, ogni giorno. Vengo da voi, e la risposta è stata: “Signorina, le ha messo le mani addosso? No? Allora non possiamo fare nulla”». La condivisione di queste storie fa sì che su pagine Instagram di attiviste e femministe come quella di lhascrittounafemmina si raccolgano e condividano storie di donne vittime di violenze e abusi mentre, incompatibilmente, su Facebook poche ore dopo il ritrovamento del corpo di Giulia, sono nate le pagine “Filippo Turetta Ragazzo Modello” e il gruppo “Le bimbe di Filippo Turetta”, tutte poi chiuse ed eliminate.

Il rumore non abbandona la tragica storia di Giulia Cecchettin nemmeno al funerale dove in migliaia partecipano rispettando la promessa fatta alla sorella Elena di non rimanere in silenzio, scuotendo chiavi all’uscita del feretro dalla chiesa. Il “rumore” è così forte da essere veicolato fino a BBC news che copre la notizia del funerale scrivendo «La funzione si è conclusa con l’agitazione delle chiavi all’uscita della bara dalla chiesa, un appello simbolico affinché la violenza non venga tollerata in silenzio». Il New York TimesEl PaisLe MondeChina Daily, si occupano del caso di Giulia e del movimento che sta travolgendo l’Italia. La Nacion riporta il commovente discorso di Gino Cecchettin durante il funerale della figlia scrivendo che «La cerimonia, segnata da un enorme dolore – volti in lacrime, un’atmosfera di lutto – è stata molto simile a un funerale di Stato» mentre l’australiano Daily Telegraph titola «Turn tragedy into change» (trasformare la tragedia in cambiamento) auspicando che per tutte le donne venga fatta giustizia in memoria di Giulia.

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