Esclusiva

Gennaio 9 2024
Il nuovo Patto di stabilità ci costa 20 miliardi l’anno? Non proprio

L’aggiustamento fiscale medio annuo del Pil potrebbe essere “tra i 12 e i 14 miliardi di euro secondo le ultime proiezioni a prezzi correnti”, spiega a Zeta Fabrizio Goria, financial reporter de La Stampa

Il 20 dicembre 2023 il sito l’Antidiplomatico, che si definisce “una delle voci di riferimento del mondo multipolare che si è affermato sul sanguinoso unilateralismo a guida Usa”, ha pubblicato un articolo in cui si sostiene che con l’accordo sul nuovo Patto di stabilità siglato in Europa dal ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti “il Governo Meloni ha dato il via libera al suicidio dell’Italia” accettando di fare 20 miliardi di euro di tagli alla spesa pubblica ogni anno fino al 2027. Dal 2028, invece, i tagli raggiungeranno i 100 miliardi di euro “visto che rientrerà in gioco il computo degli interessi sul debito (più di 80 miliardi di euro l’anno) che è invece temporaneamente accantonato per il triennio 2025-27”.

In realtà, come sottolinea in un’intervista al Corriere della Sera Paolo Gentiloni, Commissario Europeo per l’Economia, l’accordo sulla riforma delle regole di bilancio raggiunto durante il Consiglio “Economia e finanza” (Ecofin) del 20 dicembre, mette in chiaro soltanto i parametri che i Paesi membri saranno chiamati a rispettare. Alla domanda del giornalista Federico Fubini su quale sia la correzione netta di bilancio per il 2025 con le nuove regole, Gentiloni risponde: «La norma non contiene cifre, ma certo c’è una chiara flessibilità per tenere conto, dal 2025 al 2027, dell’aumento di spesa per interessi, al fine di salvaguardare investimenti in difesa, per il digitale e per l’ambiente». 

Nei documenti ufficiali pubblicati sul sito del Consiglio dell’Unione europea in seguito al raggiungimento dell’intesa si legge: “La Commissione trasmette agli Stati membri con un debito pubblico superiore al valore di riferimento del 60% del PIL stabilito dal trattato o un disavanzo pubblico superiore al valore di riferimento del 3% del PIL stabilito dal trattato una traiettoria tecnica che copre un periodo di aggiustamento di 4 anni e la sua eventuale estensione per un massimo di 3 anni. Questa traiettoria tecnica dovrebbe essere basata sul rischio, specifica per ogni Paese e ancorata alla sostenibilità del debito per garantire un approccio più lungimirante e adatto alle sfide attuali e future”. 

Illustrando più nel dettaglio i dati dell’accordo in un articolo pubblicato su iep.unibocconi.eu, Silvia Merler spiega che “I Paesi con debito superiore al 90% dovranno ridurlo dell’1% all’anno (0,5% per i Paesi con debito tra il 60% e il 90%) e riportare il deficit all’1,5% del Pil in termini strutturali, con una velocità dello 0,4% all’anno su 4 anni o allo 0,25% all’anno su 7 anni. I Paesi con un deficit superiore al 3% del Pil, invece, cadrebbero sotto il braccio correttivo e sarebbero tenuti ad aggiustare lo 0,5% del Pil ogni anno in termini strutturali, anche se saranno in grado di escludere dal calcolo dell’aggiustamento la spesa per interessi sul debito, per il periodo 2025-27”.

In attesa di stime ufficiali della Commissione europea, il prestigioso think tank europeo Bruegel, nato con l’intento di “migliorare la qualità della politica economica con ricerca, analisi e dibattiti aperti e basati sui fatti”, ha prodotto una valutazione delle conseguenze che il nuovo Patto di stabilità avrebbe su ogni Paese europeo. Secondo questa elaborazione, se l’Italia ottenesse un piano di rientro settennale dovrebbe soddisfare un aggiustamento fiscale medio annuo dello 0,61% del Pil, “Tra i 12 e i 14 miliardi di euro l’anno secondo le ultime proiezioni a prezzi correnti.”, spiega a Zeta Fabrizio Goria, financial reporter de La Stampa, “Molto dipenderà dagli shock esogeni, come quello derivante dalla crisi nel Mar Rosso, e dai costi della transizione energetica. È però chiaro che questi costi potranno essere mitigati, quindi ridotti, qualora si razionalizzi la spesa pubblica improduttiva”. Terminato questo periodo, gli analisti di Bruegel stimano che il requisito di equilibrio primario strutturale per l’Italia potrebbe superare il 4% del PIL. 

L’economista Massimo Bordignon, intervistato da Il Fatto Quotidiano, non concorda con questo scenario: “Mi sembra una stima eccessiva. L’avanzo richiesto dipenderà però molto dall’andamento della spesa per interessi: se continuerà a salire verso il 5% del Pil potrebbe arrivare a 3,5 punti, difficili da raggiungere. Se calerà potrebbe bastare un avanzo di 2,5 punti, non impossibile e già conseguito in passato”. E guardando alla procedura di infrazione per deficit eccessivo in cui l’Italia incorrerà nel 2024 ipotizza: “La procedura, che sarà probabilmente avviata dopo le elezioni europee, richiederà di portare il deficit dal 4,3% del Pil (stima del governo nella Nadef) a meno del 3% nell’arco di tre anni. La riduzione annua minima è fissata allo 0,5%. La Commissione dovrà poi decidere l’ammontare dello sconto da concedere a fronte dell’incremento degli interessi sul debito: potrebbe essere di uno 0,1 o 0,2%. Servirà comunque un aggiustamento di 4-5 miliardi, forse anche di più perché deve essere “strutturale”, cioè depurato dagli effetti del ciclo economico.”

La difficoltà di fare una stima precisa degli effetti determinati dal nuovo Patto di stabilità è dovuta alle sue regole, la cui chiarezza è stata compromessa dalle difficili trattative intercorse fra i Paesi dell’Unione. A questo proposito sempre Bordignon su lavoce.info spiega: “Il sistema delle regole fiscali che emerge dalla contrattazione tra Paesi è molto più complicato di quello originariamente proposto dalla Commissione, per la sovrapposizione di vincoli e criteri diversi, non necessariamente coerenti tra di loro”. Un concetto che ribadisce anche Silvia Merler: “Sebbene la scelta di valutare la sostenibilità del debito in maniera contingente e individualizzata rappresenti un positivo allontanamento dal dogmatismo meccanico e verso un approccio attivo di gestione del rischio, la reintroduzione di soglie fisse sotto forma di “salvaguardie” del debito e del deficit reintroduce anche molta complessità”.

È dunque fuorviante affermare, come si fa all’inizio dell’articolo pubblicato su l’Antidiplomatico, che con questo accordo il governo italiano abbia accettato tagli alla spesa pubblica prima di 20 e poi di 100 miliardi di euro l’anno. I numeri proposti, infatti, non solo non provengono da alcuna fonte ufficiale o autorevole, ma sarebbero delle stime. Fuorviante è anche accostare ai “tagli” del Patto gli interessi sul debito pubblico che l’Italia è tenuta a pagare, come viene fatto nel testo: “si tratterebbe di oltre 100 miliardi di euro di taglio della spesa pubblica tenendo conto degli interessi sul debito (86 miliardi di euro, il 4,2% del Pil, nel 2024). Scomputando il costo degli interessi, il taglio è di “soli” 20 miliardi di euro l’anno”, si legge nell’articolo. “(Riguardo all’ipotesi dei 100 miliardi l’anno a partire dal 2028), non penso che sia plausibile fare una stima così a lungo periodo, ci sono troppe variabili macroeconomiche da qui al 2028”, sottolinea Fabrizio Goria, “Un aggiustamento ci dovrà essere ma potrà essere negoziato sulla base della maggiore flessibilità del nuovo Patto.” 

La debolezza dei dati presentati da l’Antidiplomatico si riflette anche sul giudizio complessivo che dà del nuovo Patto di stabilità, considerato peggiore rispetto al precedente a causa delle pressioni esercitate dalla Germania. Il think tank Bruegel, invece, scrive nella propria valutazione che “rappresenta un risultato ragionevole. In alcuni aspetti, migliora la proposta legislativa della Commissione Europea dell’aprile 2023. In altri aspetti, è peggiore. Rispetto alle attuali regole, tuttavia, è un grande passo avanti”. Dello stesso avviso è Paolo Gentiloni che al Corriere della Sera dice: «Il compromesso trovato nel Consiglio dei ministri finanziari dell’Unione europea non è il mio ideale, ma resta un passo avanti. È certamente diverso dalla proposta originaria della Commissione. Ma penso che l’Italia abbia fatto bene a sostenere il compromesso, tornare alle vecchie regole sarebbe stata una sconfitta per l’Unione Europea e per l’Italia». Simile anche il bilancio di Carlo Cottarelli, Direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani, che in un’intervista del 23 dicembre su Huffpost sottolinea: “(Ciò che conta) è quanto il governo sarà capace di dimostrare la credibilità del percorso di crescita indicato per i prossimi tre anni sul quale nel negoziato con la Commissione europea sarà costruita la traiettoria di rientro. L’aggiustamento del deficit sarà basato su questo: se poi la crescita è più bassa gli obiettivi di deficit saranno automaticamente aggiustati”.

In conclusione, in base ai documenti pubblicati dal Consiglio dell’UE e dalle dichiarazioni ufficiali, non è possibile stabilire con certezza l’impatto annuale in miliardi di euro che l’accordo siglato a dicembre avrà sul bilancio dell’Italia nei prossimi 8 anni. Si può, invece, far riferimento ai parametri stabiliti dal nuovo Patto e alle proiezioni elaborate dal think tank Bruegel che, seppur autorevoli, restano però nel campo delle ipotesi. 

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