Esclusiva

Gennaio 22 2024
AMIE, l’AI fa anche diagnosi mediche

Il sistema creato da Google grazie all’intelligenza artificiale si sostituisce al lavoro dei medici nella fase di diagnosi

Si chiama AMIE (Automated Medical Information Extraction) il nuovo modello di intelligenza artificiale sviluppato da Google, riesce a sostituire il lavoro dei medici nella fase diagnostica. Lo strumento, che potrebbe rivoluzionare il mondo dell’assistenza sanitaria, si basa su un Large Language Model (LLM – modello linguistico di grandi dimensioni) in grado di rielaborare il linguaggio umano a seguito di un addestramento. All’AI viene somministrato un ampio numero di testi che gli consente di studiarne la grammatica e la sintassi.

Lo studio è ancora in fase sperimentale ed è stato testato solo su pazienti simulati ma ha già sollevato diversi pareri nella comunità scientifica: «Non so se l’intelligenza artificiale potrà gestire una situazione in cui si presenteranno patologie complesse. Sarebbe utile per funzioni più grossolane: categorizzare i pazienti e metterli in una casella specifica, ad esempio», sostiene Dario Pastena, chirurgo generale presso la uoc – unità operativa complessa – di chirurgia addominale al Policlinico Agostino Gemelli di Roma.

L’esperimento sulle funzionalità è stato condotto ipotizzando 149 scenari clinici basati su diverse specialità mediche: cardiologia, dermatologia, endocrinologia, gastroenterologia, neurologia e reumatologia. I pazienti simulati avviavano consultazioni online con AMIE valutandone successivamente le prestazioni e la diagnosi ottenuta. I risultati hanno mostrato accuratezza nell’utilizzo del linguaggio, nella raccolta della storia clinica e nella valutazione delle condizioni del malato. Tra i vantaggi, la possibilità di scrivere in maniera rapida risposte lunghe e dettagliate senza distogliere l’attenzione dall’elaborazione dell’informativa, eventualità che nel caso di diagnosi umana è invece verosimile.

Uno degli aspetti problematici del chatbot, software che simula le conversazioni umane, potrebbe essere in questo caso il trattamento dei dati del paziente e dunque il mantenimento della privacy. Non si è ancora certi, infatti, della destinazione delle informazioni analizzate e della sicurezza dell’archivio in cui vengono conservate.

Altra questione si solleva nel caso in cui un paziente non sia preciso con la descrizione dei propri problemi: «Il colloquio con il malato è fondamentale. Spesso non sa spiegare i sintomi, oppure omette dei dettagli basilari ed è il medico a doverglieli chiedere», spiega Paolo Maresca, chirurgo in formazione specialistica presso il Policlinico Agostino Gemelli di Roma.

Inoltre, i testi utilizzati per allenare la macchina rischiano di fornire pregiudizi che l’AI incorporerebbe compromettendo la neutralità e la precisione della diagnosi finale. «Potrà essere utile in futuro per interpretare le immagini radiologiche o endoscopiche correlandole alle analisi di laboratorio e cercare di fare una stima della patologia più probabile che stiamo vedendo, ma mancherebbe comunque il dato clinico e il rapporto di confidenza che si crea nel momento dell’anamnesi e del colloquio col malato», è l’opinione di Maria Teresa Meli, ginecologa del Policlinico Gaspare Rodolico di Catania.

AMIE, secondo l’opinione degli esperti potrebbe dunque contribuire al lavoro del medico in fase di anamnesi in quanto strumento di raccolta dati, ma non sarebbe in grado di sostituirlo del tutto.

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