Un gruppo di tifosi inglesi canta l’inno italiano, gli azzurri rispondono con “God save the king”. Chi arriva per la prima volta al torneo di rugby “Sei Nazioni” può rimanere stranito di fronte a scene del genere. «Questa è la normalità qui. Tifiamo squadre diverse ma ci divertiamo insieme, c’è rispetto reciproco», dice Paolo, venuto a Roma da Padova. Quest’anno, a sedersi sugli spalti dello Stadio Olimpico per il match Italia-Inghilterra, ci sono più di sessantamila spettatori. «Diventa quasi difficile capire per quale squadra tifino, non c’è una divisione dei settori come avviene nel calcio», spiega un giornalista sportivo per la TV argentina, «Ti può capitare di vedere il supporter che sventola la bandiera britannica mentre chiacchiera con una maglia azzurra». Nei tanti anni in cui la città eterna ha ospitato il torneo, non ci sono mai stati disordini legati alla gara: «Chi viene qui spesso lo fa con le famiglie al seguito, non è frequente che scoppino scontri in questo sport», spiega un agente della Polizia. Nato nel 1883 da un gruppo di quattro nazioni, il torneo ha mantenuto fermi nel tempo i principi di lealtà e rispetto per le squadre avversarie.
In attesa del calcio di invio, appassionati, professionisti ed ex giocatori girano nel Villaggio olimpico dove, per l’occasione, sono stati allestiti numerosi stand ricreativi. L’atmosfera è quella di un ritrovo tra appassionati più che di una competizione. «Veniamo solo per divertirci, sappiamo di essere un po’ schiappe rispetto ai bianchi» dicono ridendo tre ragazzi arrivati dalla Sardegna. I più coraggiosi provano qualche lancio con il Gilbert, il tradizionale pallone ovale da rugby. Tra gli stand gastronomici c’è chi si è inventato l’ ”Apple pasta”, ricetta rivisitata della tipica torta inglese: «Abbiamo unito le due tradizioni per rispettare l’essenza di questo torneo: la condivisione» – racconta il titolare – «Si tratta di un primo piatto fatto con crema di mela, burro e noci». I turisti sembrano apprezzare: «Pasta is so good!»
Alcuni dei presenti vivono tra Italia e Inghilterra: «Io sono di Forlì, mia moglie è londinese. Mi prende in giro perché perdiamo sempre, io non rispondo per fair play», dice Andrea scherzando. Una sportività nel gioco dimostrata anche dai rugbisti sul campo. Al 76’ una gamba troppo tesa sull’italiano Tommaso Menoncello costa il cartellino giallo a Elliot Daly, ala inglese. Pochi minuti dopo un giocatore italiano saluta i tifosi a bordo campo, ha la maglia 11: il numero è quello di Daly ma ad indossarla è Menoncello. Il gesto viene accolto dal pubblico con un forte applauso.
La prima partita italiana del “Sei Nazioni” finisce 24-27, ad un soffio da quella che poteva essere la prima vittoria storica dell’Italia sull’Inghilterra. «Questa volta ci avevamo sperato, la squadra ne esce comunque a testa alta», commentano i tifosi. Così, anche se la vittoria è inglese, la festa è di tutti. Fuori dal campo comincia il tradizionale “Terzo tempo”, un sentimento, un momento di convivialità più che un luogo fisico. «È la parte più bella dell’evento», dice una tifosa di Birmingham – «Si creano amicizie e non ci sono avversari». I colori si mischiano. Azzurri e bianchi aspettano insieme i giocatori per un selfie o una stretta di mano, nel quadro di una grande festa collettiva. Sul palco allestito al Foro Italico parte la musica: si balla e si canta con in mano l’immancabile pinta di birra Guinness, bevanda ufficiale del rugby. Non conta più chi ha vinto e chi ha perso, l’importante è divertirsi.