La prima ministra estone, Kaja Kallas, è stata aggiunta alla lista dei ricercati dal Ministero degli Interni russo. È la prima volta che un leader politico viene incluso in un simile elenco. I funzionari del Cremlino hanno confermato l’inclusione della prima ministra, spiegando che è una risposta alla decisione dell’Estonia di rimuovere tutti i monumenti sovietici sul suo territorio volta a sedare le tensioni presenti nelle aree russofone. Secondo il sistema giuridico russo, la rimozione dei memoriali di guerra è parte della “riabilitazione del Nazismo” e una falsificazione della storia.
La notizia esce a pochi giorni dalla dichiarazione di Trump «incoraggerei la Russia ad attaccare i membri della Nato che non pagano la loro parte» che mostra un atteggiamento quantomeno dialogante con il leader del Cremlino.
Non è la prima volta che Trump usa toni intimidatori, ma stavolta l’attacco frontale ai trentuno paesi dell’Alleanza atlantica non passa inosservato. Il messaggio è chiaro, seppur interpretato da alcuni come una provocazione e da altri come un vero intento politico: in caso di vittoria a novembre Trump non difenderebbe i membri della Nato e appoggerebbe un eventuale aggressore, come il Cremlino. Il tycoon allarma l’Occidente dopo aver prospettato già in passato l’uscita dall’Alleanza. «Quando lui dice che vuole uscire dalla Nato, credo che sia una reale minaccia, che avrà implicazioni negative non solo per gli Stati Uniti ma in tutto il mondo», ha detto al canale televisivo MSNBC John Bolton, ex consigliere di Trump per la sicurezza nazionale. L’allontanamento sarebbe un colpo durissimo perché gli Stati Uniti sono il fulcro militare, politico ed economico del gruppo fondato settantacinque anni fa a Washington D.C. «I commenti di Trump sull’Alleanza mettono a rischio i soldati europei e americani», ha affermato Jens Stoltenberg, Segretario generale della Nato.
Le parole dell’ex presidente sono in contrasto con il Trattato istitutivo dell’alleanza, secondo l’articolo 5 un attacco armato contro uno o più paesi è considerato un’aggressione contro tutti i membri. «In merito alle reazioni, l’opinione pubblica americana tende a non sbilanciarsi troppo sulla politica estera. I cittadini quando devono votare ragionano più sul portafoglio, in termini di tasse, risparmi, inflazione. La politica estera non è la prima preoccupazione», afferma il giornalista Camillo Barone, che vive e lavora negli Stati Uniti.
Gli analisti americani invece sono spaccati. Alcuni rintracciano il seme delle dichiarazioni nel passato politico di Trump, mentre altri esprimono preoccupazione per la stabilità della Nato. «Per vari commentatori è stato un comizio come tanti altri, in cui Trump si è lasciato sfuggire la mano, come gli è successo molte volte, nel 2016 contro Hillary Clinton, nel 2020 contro Biden. Non è la prima volta e non sarà l’ultima», sostiene Barone.
«Per altri che hanno preso le dichiarazioni sul serio, con una vittoria di Trump, la Nato potrebbe esporsi alle fragilità che ha vissuto tra il 2016 e il 2020».
La minaccia è indirizzata ai paesi accusati di non rispettare la spesa militare minima del 2% in rapporto al Pil (Prodotto interno lordo), fissata dalla Nato dopo l’annessione russa della Crimea.
Nel 2023 sono stati undici i paesi del consesso atlantico a rispettare la soglia stabilita: oltre agli Stati Uniti, la Polonia, la Grecia, l’Estonia, la Lituania, la Finlandia, la Romania, l’Ungheria, la Lettonia, il Regno Unito e la Slovacchia. Nella lista rientrano alcune nazioni con un passato nell’Urss – ovvero l’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche – come la Polonia, i Paesi Baltici e la Finlandia, che confina con la Russia per milletrecento chilometri.
«Tracciare già gli scenari a febbraio per la Nato è troppo presto. Non sappiamo quanto l’Alleanza voglia continuare a spendere e intervenire, i paesi europei sono divisi al loro interno così come la comunità politica americana», continua Barone.
La politica estera di Trump prevede un disimpegno generalizzato che ha ripercussioni sulla Nato, ma anche sull’Ucraina. «Una Nato indebolita favorisce il presidente russo, gli Stati Uniti che si ritirano sempre di più fanno il suo gioco. Una stampa occidentale conservatrice che guarda ancora a lui dovrebbe essere un altro campanello d’allarme per l’Europa», aggiunge il giornalista.
Barone invita a non sottovalutare l’intervista a Putin di Tucker McNear Carlson, ex conduttore di Fox News, network conservatore vicino a Trump. Il giornalista della destra radicale ha permesso a Putin di sostenere in tv il presidente repubblicano. Carlson è stato uno dei primi difensori dell’invasione russa dell’Ucraina, tanto che nei giorni successivi i media statali russi hanno trasmesso le scene d’ira dell’anchorman contro l’Ucraina e gli aiuti militari americani. «Si tratta di un fattore a cui guardare con attenzione perché Carlson è un giornalista che strizza l’occhio al Partito repubblicano», conclude Barone.
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