Editoriale di Matilda Ferraris
«Se mi uccidono vuol dire che siamo fortissimi, non arrendetevi» queste le parole pronunciate dal principale oppositore politico di Putin, Alexei Navalny, nel documentario dedicatogli, vincitore del premio Oscar nel 2023. Aveva ragione quando diceva: «Siamo fortissimi». Lo si è visto poche ore dopo l’annuncio della sua morte, quando centinaia di russi sono usciti di casa, noncuranti delle rigide regole del regime di Putin, per portare un fiore, una rosa rossa o un crisantemo, sul Muro del Dolore, il memoriale delle vittime della repressione sovietica. Nonostante nella Russia di Putin esprimere dissenso significhi incorrere in una punizione certa – molti sono stati gli arresti – i sostenitori del dissidente hanno continuato per giorni a visitare il memoriale per omaggiarlo.
Certo, non è stato l’unica vittima del terrore putiniano. Come lui Anna Politkovskaja, uccisa mentre rientrava a casa con le buste della spesa ancora in mano. O Boris Kagarlistiky, il sociologo condannato tre giorni prima della morte del dissidente a cinque anni di reclusione. Si tratta di oppositori con storie e percorsi di vita differenti accomunati da una grande missione: smontare l’impianto oligarchico che dalla caduta del muro governa l’ex potenza sovietica.
Navalny ha saputo scuotere più di ogni altro l’opinione pubblica, dopo la sua morte il fronte occidentale si è ricompattato dando slancio a nuove iniziative per difendere l’Ucraina che il ventiquattro febbraio entra nel terzo anno di guerra a corto di fondi e soldati.
Mentre il conflitto stava sparendo dalle prime pagine dei giornali e Stati Uniti e Unione Europea faticavano a nascondere la stanchezza indotta dai pochi progressi raggiunti, Putin eliminando il suo principale oppositore ha ricordato all’occidente che la difesa dell’Ucraina è una priorità.
In questo numero del nostro periodico Zeta abbiamo voluto riportare l’attenzione sulla dimensione umana del conflitto, raccontando le vite degli ucraini, quelli che sono rimasti e dei tanti che sono stati costretti a partire; chi combatte al fronte e chi sta tentando di costruirsi una nuova vita, come Yulia che ha lasciato Kiev quando è scoppiata la guerra per andare a Milano e continuare a studiare teatro; sportivi, cantanti e tanti altri artisti che quando partecipano alle competizioni internazionali tengono vivo il nome del loro Paese ricordando a tutti che la resistenza ucraina, nelle trincee in mezzo al ghiaccio, anche se dimenticata, continua.