Esclusiva

Febbraio 23 2024.
 
Ultimo aggiornamento: Aprile 4 2024
Valeria Shashenok, quando i social ti salvano la vita

È fuggita da Chernihiv, a nord di Kiev, per rifugiarsi in Italia, con l’aiuto di chi ha letto i suoi post sui social

I social media stanno rivestendo un ruolo cruciale nella narrazione della guerra, in cui il linguaggio immediato di queste piattaforme diventa il mezzo per veicolare messaggi tutt’altro che superficiali. L’invasione della Russia in Ucraina è stata definita “la prima guerra di TikTok“: video di pochi secondi, accompagnati da didascalie e hashtag spesso bizzarri, raccontano il conflitto nella sua dimensione quotidiana. I profili personali non sono più semplici vetrine per l’autorappresentazione, ma seguendo la scia dell’attivismo, possono trasformarsi in una potenziale via di fuga.

La storia di Valeria Shashenok, ragazza ucraina classe 2001, è emblematica. Grazie ai social network è riuscita a scappare da Chernihiv, la sua città natale a nord di Kiev, e a trovare rifugio in Italia: «Con i miei post sui social ero riuscita a informare la gente sulla guerra e anche a descrivere quello che stava accadendo a Kiev. Inoltre mi hanno aiutato a fuggire dall’Ucraina e a trovare ospitalità a Milano». È quello che racconta nel suo libro 24 febbraio e il cielo non era più blu, un titolo che fa capire come il conflitto abbia ingrigito il blu vivo del cielo: «Era il 24 febbraio e il cielo era grigio quando Putin ci ha invaso, quando sono iniziate le esplosioni a Kiev», annota Valeria. Lei è una fotografa freelance e prima dello scoppio della guerra utilizzava Instagram e TikTok per condividere i suoi lavori, ma dal 24 febbraio i soggetti catturati dal suo obiettivo fotografico sono cambiati: case in fiamme, impronte di carri armati, lunghe file di persone in attesa di cibo, i luoghi della sua infanzia distrutti dalle bombe, lacrime e sofferenza.

Il 26 febbraio si rifugia insieme ai suoi genitori e al suo cane nel bunker antiaereo costruito dal padre in un edificio dove un tempo gestiva un ristorante. Qui, per sfuggire alla noia, ha iniziato a filmare la sua nuova “casa”, mostrandone l’interno con la didascalia “Things that just make sense in a bomb shelter” (Cose che hanno senso in un rifugio antiaereo). Il primo TikTok virale ritrae sua madre ballare con in mano una cassetta degli attrezzi gialla, in sottofondo le note di “Che la luna”, canzone popolare siciliana del musicista italoamericano Luis Prima. All’inizio Valeria non comprende il potenziale comunicativo di queste clip, accompagnate sempre da una dose di black humor, ma quando raggiunge più di 50 milioni di visualizzazioni, attirando l’attenzione di emittenti televisive come CNN e BBC che la contattano per intervistarla, realizza che può utilizzare TikTok per informare le persone in modo diretto e senza filtri.

Nei diciassette giorni trascorsi nel rifugio antiaereo «mentre i combattimenti intorno a noi erano violenti», scrive lei, capisce che la guerra è concreta, è nella sua Chernihiv e ci rimarrà a lungo: la volontà di espatriare si fa più forte e il 12 marzo inizia il suo viaggio per arrivare in Italia. Grazie alla generosità di una coppia che le offre un passaggio, raggiunge Kiev in auto, poi in treno arriva a Leopoli, città dell’Ucraina occidentale vicina al confine polacco: «Ricordo perfettamente l’odore della stazione di Leopoli. C’era tanfo di umanità, cibo e disgrazia». Da qui subito verso Przemysl fino a Lodz, in Polonia, su un treno in cui riesce ad entrare sono sgomitando: «Ho fatto di tutto, ho anche saltato la fila…lo so, non è giusto, ma giocavamo una partita senza regole».

Valeria racconta il suo viaggio con una storia Instagram chiamata “Evacuation”: grazie alla condivisione di contenuti online sempre più persone iniziano a seguirla e ad offrirle aiuto. Una donna di New York le scrive su Instagram che poteva ospitarla: «Le ho spiegato i miei progetti, e le ho detto che New York sarebbe stata troppo costosa e che volevo andare in Italia. Mi ha risposto che avrebbe tentato di aiutarmi. La donna conosceva Celeste, che vive a Milano, e ci ha messo in contatto. Oggi abito con lei e dalla sua famiglia, che è diventata un po’ anche la mia famiglia».

Dopo 25 ore di autobus dalla Polonia, Valeria può abbracciare quell’Italia che aveva sognato durante i giorni nel bunker, dove aveva pubblicato un TikTok con la didascalia “Pov: she cooked pasta in a bomb shelter and imagined that she is in Italy” (Pov: lei cucinava la pasta in un rifugio antiaereo e immaginava di essere in Italia). Nonostante la gratitudine e l’amore per questo Paese, lei non è più la turista spensierata nei vicoli di Roma, ma è una rifugiata, e il senso di sradicamento la accompagna ovunque: «La domanda è se riuscirò ad apprezzare l’Italia come prima, perché ora, dopo l’invasione, da nessuna parte riesco più a sentirmi a casa», scrive nel suo diario. Valeria, però, ricerca nel futuro la forza di andare avanti, aggrappandosi ai desideri della sua Map of Dreams, la mappa dei sogni: «Tutte le mattine, quando mi sveglio, vedo cosa sogno e cosa realizzerò».

Il 27 marzo una telefonata le toglie il sonno: il fratello le comunica che suo cugino Maksim, appena diciottenne, è morto nella sua casa sotto una bomba russa. «Mio zio mi ha detto di aver gridato “Maksim, Maksim!” Ma lui non gli ha più risposto. In quel momento un padre ha capito che il figlio era morto», racconta lei. È tanta l’amarezza per una guerra che non permette a Maksim e a molte altre vittime nemmeno di avere una degna sepoltura: «Il cimitero della nostra città è stato bombardato, e dobbiamo seppellire i nostri morti nel bosco».

24 febbraio e il cielo non era più blu è la pubblicazione di un diario intimo e al contempo universale, in cui la protagonista annota paure, speranze e prospettive, che sintetizzano i sentimenti di tutto il popolo ucraino. Una zuppa calda, del cioccolato regalato o dei vestiti puliti prestati, il sorriso di uno sconosciuto: queste le piccole cose che consolano l’anima nell’agonia della guerra.