Esclusiva

Marzo 3 2024
“L’albergo dei poveri”: il teatro dei bassifondi

L’attore e regista Massimo Popolizio porta in scena la sofferenza e le speranze di chi non ha più nulla

«Esiste ciò in cui credi, non esiste ciò in cui non credi». Con queste parole un misterioso vagabondo parla di Dio a un ladro, in un dormitorio polveroso popolato da personaggi grotteschi e disperati. La filosofia e la più alta spiritualità si intrecciano alla miseria e alla perdizione ne L’albergo dei poveri di Massimo Popolizio, in scena al Teatro Argentina di Roma fino al 3 marzo per la prima parte di una tournée che attraverserà l’Italia e si concluderà il 23 aprile.

La riduzione teatrale di Emanuele Trevi fa emergere l’essenza dell’opera di Maksim Gorkij, drammaturgo russo in attività a cavallo tra Ottocento e Novecento, rendendo attuale un testo di inizio ventesimo secolo senza tradire l’edizione originale. Il dramma racconta la sofferenza di un gruppo di straccioni che vive in un ostello sudicio e angusto, un circo di creature quasi animalesche. Tra questi, un barone che ormai di nobile conserva solo il nome, un attore privo di talento che non è mai riuscito ad avere successo, una prostituta alla ricerca di una nuova vita e una giovane donna consumata dalla malattia. Gli ospiti dell’albergo si trascinano lungo le giornate annegando la disperazione nell’alcool e nel gioco d’azzardo, anestetici per una vita insopportabile.

È una storia di miseria e dolore, un’aspra denuncia delle condizioni degli ultimi di ogni epoca e provenienza. I personaggi affrontano con indifferenza anche la morte, considerata non più una tragedia umana ma soltanto un fastidio materiale per chi non può permettersi un funerale o per chi voleva soltanto godersi una festa. Le scene di cruda realtà, rappresentate in modo perfetto, sono dei colpi che lo spettatore incassa dritto nello stomaco, degli spietati ritratti di una umanità a cui è stato tolto tutto.

In questo mondo di sofferenza e disincanto, giunge all’improvviso un lampo di speranza: un vagabondo, impersonato da un magistrale Massimo Popolizio, che regala ai personaggi il sogno di una vita diversa e al pubblico un’interpretazione entusiasmante. Il misterioso viaggiatore è il simbolo di quella autentica vitalità che i protagonisti del dramma non possiedono quasi più e che gli spettatori, nelle loro poltrone di velluto, forse hanno dimenticato. Profeta, confessore, padre spirituale e al tempo stesso peccatore, compagno di bevute e vagabondo soltanto di passaggio, il pellegrino indica la strada e poi lascia gli inquilini dell’albergo al loro destino. Così un vento fugace di speranza se ne va, troppo effimero per salvare tutti, ma forse sufficiente a ispirare qualcuno.

La costruzione delle scene, grazie al lavoro di Marco Rossi e Francesca Sgariboldi, dei costumi (Gianluca Sbicca) e delle luci (Luigi Biondi) è perfetta. Gli stucchi dorati del teatro Argentina avvolgono gli ambienti squallidi del palcoscenico, trasformato in un luogo tetro e spoglio in cui gli attori si muovono come un solo organismo. Nella prima scena, i personaggi emergono dai materassi rattoppati dell’albergo, dalle assi di legno del pavimento e dalle pareti grigie della camerata come se nascessero da essi. I riflettori sono essi stessi attori che dialogano con gli interpreti e disegnano ombre avvolgendo ogni scena in modo diverso. Il ritmo è scandito da un abile alternarsi di brutale realismo e momenti fuori dal tempo e dallo spazio, che coinvolgono lo spettatore in un viaggio emotivo senza soste.

Dal 7 al 28 marzo, lo spettacolo torna anche al Piccolo di Milano, quasi ottant’anni dopo la messa in scena curata da Giorgio Strehler che inaugurò il teatro nel 1947. In aprile la tournée si sposterà a Napoli e poi a Bergamo. Per chi avrà l’occasione di andare a vederlo, l’esperienza è consigliata. Partendo dai bassifondi, L’albergo dei poveri raggiunge i livelli più alti di teatro. La comicità amara e l’intensità della rappresentazione hanno pochi eguali nello scenario contemporaneo. Quando i personaggi non riescono a respirare anche gli spettatori faticano a trovare l’aria, quando gli attori si lasciano andare a risate incontrollabili, il pubblico percepisce un brivido di inquietudine. Chi entra in teatro e assiste a questo dramma non può fare a meno di riconoscere nell’albergo dei poveri il non-luogo che risiede in ognuno di noi. È un monito contro l’indifferenza e l’apatia, uno spazio oscuro che mostra con chiarezza cosa resta di un essere umano quando si dimentica di essere tale.

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