Il colore nero del palco si contrappone alla luce dei lampadari del teatro. Il rosso e l’oro avvolgono gli spettatori nei cinque piani di balconate ottocentesche realizzate dagli architetti Achille Sfondrini e Marcello Piacentini. Dopo più di centoquarant’anni il Teatro dell’Opera di Roma resta uno dei luoghi più suggestivi della capitale.
Il 5 sera si è aperto il sipario sull’opera di Salomè, principessa giudaica figlia di Erode, la cui famiglia è nota perché uno dei suoi membri ha voluto il martirio di Giovanni Battista, come descritto nei Vangeli di Marco e Matteo.
L’anteprima, dedicata ai giovani con l’obiettivo avvicinare le nuove generazioni alla cultura, fa riferimento, però, al dramma di Oscar Wilde che nel 1893 attribuisce a Salomè, la mandante della decapitazione di Giovanni Battista: la principessa si era innamorata follemente del profeta, ma non era corrisposta. La decapitazione fu quindi la sua spietata vendetta, e nel contempo la soddisfazione della sua perversa libidine.
Una scenografia inesistente, che fa da contrasto alla bellezza del teatro. Una storia affascinate e cruenta raccontata con massimo tre attori per volta sul palco, illuminati da un fascio di luce. Nulla di più, sullo sfondo solo il nero delle quinte. Cala il silenzio e per cento minuti la musica dell’orchestra non ha smesso di suonare neanche un secondo. La scenografa e costumista Katrin Lea Tag ha fatto una scelta impattante: nessuna scenografia e costumi moderni. Questo è visibile già dalla prima scena: Salomè indossa un vestito color panna che ricorda uno di quei fiori i cui peli che, al minimo soffio, si dissolvono. Il bianco in contrasto con lo sfondo cupo e nero.
La modernità nella scelta dei costumi si è vista anche quando Salomè entra sul palco con un abito argentato di pallettes, distante dalla moda del 14 d.C.
Un unico atto cantato in tedesco, con sottotitoli in inglese e in italiano, fa immergere gli spettatori in questa storia cruenta.
Il cuore batte veloce, ansioso, mentre la musica si cala in un sussurro e lo sguardo si fissa su Erode, pronto a compiere la richiesta di Salomè: la testa di Giovanni Battista su un piatto d’argento. È un momento di tensione estrema, un’esplosione di emozioni rese ancora più palpabili dall’urlo straziante del padre, “Dannata, dannata!”, che squarcia l’aria. Poi tutto tace, solo una melodia soave accompagna il silenzio.
Il desiderio di Salomè, crudele e ossessionato, prende vita. Un gancio nero scende dal soffitto, come una lama nel buio della notte, raccogliendo la testa decapitata di Giovanni Battista. La musica, carica di tensione, avvolge la scena mentre la principessa, con mano tremante, sfiora il volto sporco di sangue del profeta. È un momento macabro, ma lei lo guarda come se fosse ancora vivo, confessandogli il suo amore con voce spezzata. Tra carezze e schiaffi, Salomè si avvicina alla testa mozzata di Giovanni, sporca di sangue . Poi, nel climax di questa danza macabra, lei gli dona un ultimo bacio, lungo e struggente, come un addio sospirato tra le lacrime e il sangue versato.
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