La storia del basket italiano alla Luiss. Nel salone dell’auditorium The Dome del campus di viale Romania viene proiettato il docufilm “Un coach come padre”, dedicato alla vita di Sandro Gamba. Un mito della pallacanestro nel nostro Paese: dieci scudetti da giocatore dell’Olimpia Milano fra gli anni Cinquanta e Sessanta e una superba carriera da allenatore, culminata con la vittoria dell’Europeo del 1983 con la Nazionale. Il documentario, diretto dall’attore e regista Massimiliano Finazzer Flory, racconta l’uomo dietro al campione. Gamba, oggi un simpatico novantaduenne con la battuta pronta, è in prima fila e osserva curioso le immagini. Amici e ammiratori gli stringono la mano, per tutti è ancora “il coach”, nonostante non sieda su una panchina da più di trent’anni. Sullo schermo scorrono video in bianco e nero e interviste di alcuni fra i più grandi giocatori che ha formato. Per Dino Meneghin, il miglior cestista italiano, è stato più che un semplice tecnico: «Lo definirei un fratello maggiore, se non un padre – confessa – Sapeva come farmi rendere al meglio. Ha dimostrato che l’allenatore è la persona più importante in una squadra».
Video di repertorio si alternano a scene girate sul playground, il campo da basket all’aperto, dove il coach si racconta a un gruppo di ragazzi. L’incontro con la palla a spicchi avviene a dodici anni: la guerra è agli sgoccioli, Sandro sta giocando in strada quando viene colpito alla mano destra da una raffica di proiettili sparati dai fascisti. L’amputazione sembra inevitabile, ma i soldati americani che lo soccorrono hanno un’idea: «Mi consigliarono di maneggiare una palla per riattivare la circolazione – ricorda – Iniziai a palleggiare, i primi schiaffi mi facevano malissimo, ma con il tempo guarii. Un miracolo, a detta dei medici». Una storia di riscatto che si intreccia con quella dell’Italia del dopoguerra, proiettata verso il più grande miracolo economico al mondo, negli anni Sessanta. Prima di diventare un mito sul parquet con la maglia biancorossa di Milano, Gamba lavora nel reparto tachimetri dell’azienda Fratelli Borletti e poi passa alla Simmenthal, per cui vende carne in scatola. Alle prodezze con l’Olimpia seguono quelle con la Nazionale. Indimenticabile quell’Italia-Stati Uniti alle Olimpiadi di Roma del 1960, in cui annulla la guardia dei Los Angeles Lakers, Jerry West: «Era molto rapido e imprevedibile, ma lo marcai in modo asfissiante e riuscii a limitarlo. A fine partita mi fece i complimenti, un campione vero» ci dice. “Mr Clutch”, com’era soprannominato per la capacità realizzativa nei momenti decisivi del match, nove anni dopo avrebbe prestato la sua silhouette per il logo del campionato Nba. Un playmaker da trenta punti di media a partita, che quella sera al Palazzetto dello sport non andò oltre gli undici.
«Il docufilm racconta la storia di un educatore, capace di trasformare la squadra in una famiglia: si vince e si perde, ma lo si fa insieme», sostiene il regista, Finazzer Flory. Schiettezza, rispetto e spirito di fratellanza sono i valori che i giocatori intervistati riconoscono più spesso al loro ex tecnico. Il playmaker Pierluigi Marzorati, recordman per presenze con la maglia azzurra (277), ne sottolinea la determinazione: «Era molto esigente, mai tenero, ma sempre pronto a difenderci». Come accadde ai quarti di finale degli Europei del 1983, quando Gamba fu il primo a entrare in campo nella rissa scaturita da un calcio dello slavo Kicanovic a Villalta. L’interesse e lo studio degli sviluppi del basket negli Stati Uniti hanno reso il coach amatissimo anche oltreoceano: l’incontro con Michael Jordan, l’ingresso nel 2006 nella Hall Of Fame, il massimo riconoscimento nella pallacanestro a stelle e strisce e il messaggio di congratulazioni del presidente americano Bill Clinton sono chicche del docufilm. E chiariscono una volta di più l’incredibile influenza che Gamba ha avuto sullo sport, non solo italiano ma internazionale.
In platea ci sono anche i giocatori della squadra di basket Luiss, che milita in Serie A2. La pallacanestro è la disciplina in cui l’università romana ha avviato nel 1998 il programma accademico e sportivo “Dual Career” ispirato ai college americani. Ventisei anni dopo, l’ateneo vanta quasi quattrocento studenti-atleti, suddivisi in venti squadre che spaziano dal calcio al padel, fino alla vela. Per Paolo Del Bene, direttore dell’Associazione Sportiva Luiss, «abbiamo costruito un modello unico in Italia e con pochi eguali in Europa. Tutte le università dovrebbero avere impianti sportivi, perché l’attività fisica contribuisce alla formazione dei ragazzi e li dota di abilità fondamentali per il mondo del lavoro». Un pensiero condiviso dallo stesso Gamba, che raggiungiamo al termine della proiezione: «Ai giovani dico di non trascurare scuola e lavoro, ma trovate un paio d’ore tutti i giorni per fare sport, fa bene alla salute e al cervello». Ok, coach.
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