«È il patto della vergogna, della morte» urlano attivisti in Piazza Lussemburgo, a Bruxelles, davanti al Parlamento europeo. Tra questi c’è Huth, tedesca, che sventola una bandiera nera con scritta gialla: «Benvenuti rifugiati». Sulla sua maglietta, “mai più è adesso” stampato. «L’Unione europea sta svendendo i diritti umani», le sue parole. Tanti caschi arancioni sbucano poi tra la folla e sollevano cartelloni per criticare l’operato europeo sull’immigrazione. Un’anziana signora chiede l’abolizione di Frontex, agenzia europea della guardia di frontiera e costiera.
Ma la protesta prosegue fin dentro l’aula del Parlamento europeo dove vicino l’area stampa un gruppo di manifestanti, subito dopo l’approvazione del Patto su migrazione e asilo, fa irruzione al grido «votate no» lanciando aeroplanini di carta sulla platea degli eurodeputati. Dopo anni di negoziati duri e intensi, il provvedimento è stato approvato in un clima teso. Composto da dieci dossier, è per molti una soluzione di compromesso, un passo avanti rispetto al passato. La Sinistra e il gruppo di estrema destra Identità e democrazia hanno votato contro il pacchetto di regolamenti, a differenza del Partito popolare europeo e del gruppo liberale Renew Europe. Parte dei conservatori dell’Ecr e il Partito democratico – all’interno della famiglia socialista – si sono espressi in disaccordo rispetto al proprio gruppo di appartenenza.
Alla base della riforma della politica migratoria c’è il rapporto tra solidarietà e responsabilità nella gestione coordinata dei migranti che, come il Regolamento di Dublino del 2013, affida il compito di esaminare la richiesta d’asilo al primo stato membro in cui la persona arriva in modo irregolare. I punti cardine sono cinque regolamenti dedicati a questioni complesse: la gestione dell’asilo e la migrazione, lo screening, le procedure di accoglienza, le crisi e l’Eurodac, il database delle impronte digitali per coloro che richiedono protezione e le persone fermate mentre varcano in modo irregolare una frontiera esterna dell’Unione. È stato introdotto il meccanismo di solidarietà obbligatoria per i 27 stati membri sulla base della popolazione e del Pil (Prodotto interno lordo), che mette sullo stesso piano tre forme di solidarietà: il supporto ai paesi terzi, contributi finanziari e ricollocamento di migranti. Attraverso lo strumento della gestione delle frontiere e dei visti (Bmvi) e il fondo asilo, migrazione e integrazione (Amif) – istituito nel 2014 – i contributi ai paesi membri possono essere destinati a sistemi di accoglienza, al finanziamento di strutture fisse e mobili di confine.
Il regolamento sullo screening prevederà, all’arrivo dei migranti, una procedura di trattenimento di sette giorni per la divisione delle richieste di asilo tra procedure regolari e accelerate. Rimane la cosiddetta “finzione del non ingresso”, per cui chiunque sia sottoposto ai controlli in un apposito centro non è considerato per legge nel territorio dell’Ue. Il Regolamento sulle procedure di asilo introduce il concetto di “Paese terzo sicuro”, per cui è previsto un elenco europeo di nazioni che non minacciano la sicurezza per motivi religiosi, politici ed etnici.
La Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola ha applaudito la decisione definendola storica, dopo quasi dieci anni di intenso lavoro e confronto acceso su un argomento divisivo.
Criticando il sistema di Dublino Birgit Sippel, europarlamentare tedesca dei socialisti e democratici, riconosce che: «Soluzioni sostenibili devono basarsi sulla democrazia e lo stato di diritto. Fondamentale è anche la cooperazione a pari livello con le nazioni di origine». «Non è possibile che solo alcuni stati trovino soluzioni ad hoc, perché tutti devono contribuire per creare una fiducia reciproca e anche nei confronti dei cittadini» esordisce Tomas Tobé, esponente svedese del Partito popolare europeo, per cui il voto favorevole è l’unico modo per fermare il numero di morti in mano ai trafficanti di esseri umani.
Di tutt’altro avviso è il premier ungherese Viktor Orban: «Il Patto sulla migrazione è un altro chiodo sulla bara dell’Unione Europea. L’unità è morta, i confini sicuri non ci sono più».
Se da un lato i vertici europei, Orban a parte, sono raggianti davanti a microfoni e telecamere, dall’altro la discussione negli anni ha scatenato dibattiti polarizzanti con l’estrema sinistra e la destra radicale che fino all’ultimo hanno ostacolato la soluzione approvata.
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