«Nella zona di Carrara siamo arrivati ad un punto di distruzione tale che non c’è più confine tra cava e cava. Sono tantissime e concentrate in un fazzoletto di terra. Una devastazione a cielo aperto continua. Dal punto di vista ecologico e ambientale lì la situazione è persa».
Gianluca Briccolani è un alpinista innamorato delle Alpi Apuane che nel 2021 ha deciso di creare un’associazione che tutelasse il territorio: «A nostro avviso mancava un soggetto specifico che facesse ambientalismo e si occupasse di ecologia solo ed esclusivamente per il parco delle Apuane».
Le montagne hanno da sempre un aspetto appuntito e irregolare, ma non a Carrara dove le Alpi sono oramai diventate terrazzamenti dalle venature bianche con forme geometriche perfette. Questo cambiamento paesaggistico è il risultato di una conflittualità che dura da molti anni tra comune, imprenditori e ambientalisti dovuto all’estrazione del pregiato marmo. Si cavano blocchi interi, perché il materiale che esce con una forma geometrica regolare è più prezzabile di uno rotto o frantumato. I guadagni quindi possono variare da poche centinaia di euro a tonnellata fino a oltre 10.000 euro a tonnellata per il blocco perfetto. Per questo motivo i pezzi da 30-40 tonnellate sono i più redditizi perché, se perfetti, potrebbero arrivare a costare circa 400.000 mila euro.
La procedura di estrazione prevede che vengano fatti tagli su tutti e quattro i lati del masso con un filo elicoidale, grazie anche all’uso della sabbia silicea e di grandi quantità d’acqua. Viene poi infilata una piastra d’acciaio che sfila il materiale. L’estrazione avviene avanzando in modo circolare al blocco estratto: sopra, sotto, poi a destra e a sinistra. Il marmo estratto per le sculture o i monumenti è solo l’1% mentre il resto è destinato alle costruzioni e all’arredamento, quindi all’edilizia privata. Nonostante l’accuratezza, si calcola che almeno il 70% finisca in scaglie, con un mercato parallelo da cui si ricava il carbonato di calcio. Un patrimonio di tutti che diventa sempre più un privilegio per pochi.
Gli attivisti di Apuane Libere documentano le irregolarità: «Noi andiamo in montagna per firmare e fotografare tutte quelle violazioni di legge che non vanno bene. Non solo dal punto di vista dei siti estrattivi che sono dentro, ma anche fuori dal parco». Un esempio sono le cime: «È vietato intaccare le creste delle montagne ma la cresta nera, una delle più importanti del monte Maggiore, viene ogni anno tagliata» raccontano in un episodio del programma Report. Per Gianluca la situazione è critica: «Sono state fatte 55 denunce in soli tre anni ma tutto rimane bloccato. La vera incongruenza è che all’interno di un parco regionale ci sono dei siti estrattivi che lo distruggono, nonostante le Alpi Apuane siano un bene comune e patrimonio dell’Unesco».
In un report del 2020 Giuseppe Sansoni, biologo di Legambiente Carrara, afferma che le cave sarebbero una delle cause principali dei fenomeni alluvionali della zona. Dal 2002 ad oggi ci sono stati quattro alluvioni, anche perché «i pendii dove si accumulano i detriti, a causa della loro pendenza elevata, fanno precipitare a valle l’acqua con grande velocità. Il Carrione, il fiume principale che scorre a Carrara, è stato deviato per creare un piazzale dove posizionare i blocchi di marmo estratti» scrive Sansoni. Le Apuane sono caratterizzate da reticoli di torrenti carsici, in cui scorre l’acqua. Tuttavia, la marmettola, una polvere di marmo che si crea nel momento in cui viene cavato, finisce nei fiumi con le piogge, insieme a tutte le sostanze usate durante l’estrazione, ovvero lubrificanti, oli o metalli pesanti. Questo rende la maggior parte di questi fiumi morti dal punto di vista biologico. L’effetto è quello di fiumi color latte che scendono a valle fino ad arrivare in mare, asfissiando qualsiasi tipo di vita vegetale e animale.
La richiesta di Apuane Libere è quella di un’estrazione che rispetti le norme di legge: «Noi siamo per una chiusura di tutte le cave, in modo graduale così da evitare shock occupazionale. Però se la politica non vuole chiuderle, quantomeno chiediamo che faccia rispettare le leggi. Gli imprenditori fanno guadagni milionari sulle montagne di tutte e tutti e si permettono anche di non lavorare con le tre-quattro leggi che hanno» spiega Gianluca. econdo l’associazione, il primo passo è una raccolta di firme per l’istituzione di una legge di iniziativa popolare per la trasformazione del parco regionale delle Apuane in parco nazionale.
I proprietari delle cave però sostengono che chi è contro le cave è contro il lavoro e si oppongono ai tentativi di limitare le escavazioni intensive. Il 30% dei proprietari delle cave nella zona si appella ad un editto del 1751 in cui Maria Teresa Cybo Malaspina, duchessa di Massa e principessa di Carrara, stabilì che chi lavorava da almeno vent’anni un pezzo di montagna avrebbe ottenuto una concessione gratuita e perpetua per la sua escavazione I beni estimati, così vengono chiamati, sono stati poi ereditati o venduti. Molti degli attuali proprietari hanno comprato questi estimi e li considerano titoli ancora oggi validi per lo sfruttamento delle cave, per questo motivo non pagano nulla per le concessioni né al comune, né alla Regione, né allo Stato. Grazie a questo editto di tre secoli fa, chi possiede la cava si ritiene il proprietario della montagna. Il comune riceve dalle restanti concessioni, circa il 70%, tramite la tassa di estrazione e la tassa di concessione che rendono complessivamente circa 25 milioni di euro l’anno.
«Se mi toccano un luogo del cuore, non me ne frega nulla dei guadagni. A prescindere dai soldi, è un bene collettivo, di tutti» racconta con tono deciso Gianluca.
Da anni gli abitanti di Carrara e delle realtà limitrofe, vivono un ricatto occupazionale, costretti a scegliere tra ambiente e lavoro: «Per come la vediamo noi, siamo al livello dell’Ilva di Taranto», chiarisce il Presidente di Apuane Libere. Anna, proprietaria di un negozio di artigianato del marmo al di fuori della città di Carrara, racconta: «La situazione è invivibile. I camion corrono ad altissime velocità su queste strade piccole, lasciando tutte scie bianche. Se ci fosse una possibile alternativa, non faremmo questo lavoro».
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