Esclusiva

Maggio 15 2024
Carcere per diffamazione, il caso di Pasquale Napolitano

Riapre il dibattito sulle querele per diffamazione rivolte ai giornalisti la sentenza del giudice monocratico del tribunale di Nola

«Togliamo il carcere ai giornalisti. Intervenire a gamba tesa nel lavoro di una persona con una decisione simile crea un effetto di timore psicologico per il futuro». Sono le parole a Zeta di Pasquale Napolitano, redattore de Il Giornale, dopo la condanna a otto mesi di carcere e al pagamento di una multa di 6500 euro per diffamazione a mezzo stampa. L’eco della vicenda ha portato a intervenire anche Carlo Bartoli, presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti. Il giudice monocratico del tribunale di Nola si è pronunciato su quanto Napolitano scrisse riguardo Domenico Visone, l’allora presidente dell’Ordine degli avvocati di Nola, e alcuni consiglieri in un articolo sulla testata online Anteprima24 ad aprile 2020. 

Napolitano è incensurato, e grazie alle attenuanti generiche la pena detentiva è stata sospesa, quindi non andrà in prigione. Il giornalista disse che Visone sarebbe rimasto in carica all’Ordine degli avvocati della città campana, sebbene non fosse appoggiato della maggioranza dei consiglieri. A due giorni dalla pubblicazione, l’ex presidente diede le dimissioni. 

«Sorpresa e delusione sono state le sensazioni davanti alla condanna» prosegue il cronista, che racconta di aver scritto in passato molti pezzi «più scivolosi e rischiosi», di aver ricevuto querele e di essere stato giudicato innocente da giudici che hanno utilizzato come criterio di valutazione la garanzia della libertà di stampa, la verità dei fatti e la possibilità di replica. «In cinque o sei articoli successivi è stata data la possibilità di replicare sia al presidente, che scrisse una lettera lunghissima, sia ai consiglieri che mi hanno querelato, con una nota di precisazione rispetto al mio primo articolo» ci tiene a precisare Napolitano, convinto che prevedere l’incarcerazione per il reato di diffamazione comporti un condizionamento su chi scrive, in particolare per i giornalisti alle prime armi. 

La soluzione per lui è potenziare gli strumenti messi a disposizione delle persone che vogliono specificare quanto riportato in articoli che li riguardano, dando loro uno spazio alla pari. «La decisione – conclude Napolitano – è stata presa da un giudice onorario, non togato, un ex avvocato e io stavo scrivendo proprio contro degli avvocati. Sono molto fiducioso che in appello, passando tutto il fascicolo al tribunale ordinario di Napoli, ci sia più sensibilità sul tema». 

Il caso ha riaperto il dibattito sulla questione delicata delle azioni giudiziarie contro i giornalisti e la compressione della libertà di stampa. Secondo Bartoli, la condanna di Pasquale Napolitano «è la goccia che fa traboccare il vaso di una normativa che non sta più in piedi. Rifiutiamo l’idea che in un Paese democratico venga ancora comminata la pena del carcere per il reato di diffamazione a mezzo stampa. Serve una riforma che tuteli la libertà di informazione, che non è una prerogativa dei giornalisti, ma un diritto di tutti i cittadini e un architrave della democrazia».