«Abbiamo vinto le elezioni. Siamo primo partito e siamo ancora di stabilità» ha detto la presidente uscente della Commissione europea Ursula von der Leyen, Spitzenkandidat (candidato di punta) del Partito Popolare europeo (Ppe), uscito vincitore dalle elezioni. «Da domani ci rivolgeremo ai Socialisti e democratici europei (S&D) e a Renew Europe (Re) per continuare sul cammino di una piattaforma pro-Ue, pro-Ucraina e pro-Stato di diritto».
L’estrema destra avanza in Europa, ma, al netto di leggere differenze di seggi, gli equilibri nell’Eurocamera rimangono quasi gli stessi della scorsa legislatura e con la vittoria del Ppe, von der Leyen può sperare di essere rieletta. Niente è certo però. Da dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il presidente della Commissione è eletto a maggioranza dai leader del Consiglio europeo, tenendo conto dello Spitzenkandidat designato dal partito che ha vinto più voti al parlamento europeo. Ciò potrebbe avvenire già durante la riunione del 27 e 28 giugno.
Il Ppe, il primo con 186 seggi, ha già proposto il rinnovo di von der Leyen. Le incognite però sono diverse. Nell’aula della plenaria durante la notte elettorale, il capogruppo Ppe, Manfred Weber, ha invitato il presidente francese, Emmanuel Macron, a «confermare von der Leyen alla Commissione». Nel 2019 fu lui ad osteggiare lo Spitzenkandidat del Ppe, che al tempo era proprio Manfred Weber.
La procedura non finisce col Consiglio, Il nome scelto dai capi di stato e di governo deve essere poi approvato a maggioranza assoluta (361 seggi) dall’Eurocamera. Per raggiungerla i popolari hanno bisogno anche dei loro storici alleati: il gruppo dei Socialisti & Democratici e Renew Europe, di cui fa parte anche Renaissance, il partito di Macron. Se si confermasse questa grande coalizione di centro, che ha tenuto per tutta la scorsa legislatura von der Leyen potrebbe contare su 403 voti, al netto di franchi tiratori, che emergono durante lo scrutinio segreto. Se Re si sfilasse, una coalizione con i verdi e la sinistra (Gue/Ngl) non basterebbe, si fermerebbe a 227 voti, mentre se il Ppe guardasse all’estrema destra verso i Conservatori e Riformisti (Ecr) e Identità e Democrazia (Id) arriverebbe solo a 315.
I Socialisti hanno proposto Nicholas Schmit, l’attuale commissario europeo al lavoro. Tuttavia, il vicepresidente del Partito dei Socialisti europei (Pse), Pedro Marques, ha detto che «il gruppo «rispetta il principio dello Spitzenkandidat» e si è congratulato con von der Leyen. Ha anche posto delle condizioni: «L’appoggio dipenderà dal programma politico» della commissaria tedesca. L’eurodeputata del Pse, Camilla Laureti, appartenente al Partito democratico ha aggiunto che «nel 2019 il sostegno a von der Leyen è stato legato all’approvazione del Green Deal. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a pericolose marce indietro, anche sulla transizione ecologica. Comunque, per noi, rimane determinante il tema dei contenuti politici».
Per i socialisti è anche necessario che il Ppe non cerchi una coalizione con Ecr e Id nel caso dovessero mancare numeri. Laureti ha aggiunto che «il Pse ha sottoscritto un appello, a maggio, che chiude le porte a collaborazioni o alleanze con l’estrema destra, cioè Ecr e Id, al Parlamento europeo».
Se sulla carta la grande coalizione Ppe-S&D-Re fosse confermata, ci sarebbe comunque il rischio di non raggiungere i 361 voti necessari. L’istituto per gli studi di politica italiano (Ispi) ha calcolato che negli ultimi dieci anni il tasso di “ribellione” alla linea del gruppo dei deputati socialisti, popolari e liberali si è aggirato attorno al 15-20%. Perdere questa percentuale significherebbe scendere da 403 a 320-340 voti.
Rimangono, infine, il gruppo Left (36 seggi), di cui fa parte Alleanza Verdi e Sinistra, e cento eurodeputati non iscritti a nessun gruppo, tra cui rientrano il partito ungherese del primo ministro Viktor Orbán, Fidesz, ma anche il Movimento cinque stelle.