Esclusiva

Giugno 19 2024.
 
Ultimo aggiornamento: Giugno 20 2024
Un libro «per salvare le altre Giulie» incontro con Gino Cecchettin

Il padre di Giulia Cecchettin presenta “Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia” in dialogo con Paola Severino, Serena Bortone e Gianni Riotta

«La vita non è un token, non è un’unità indivisibile, ma tanti piccoli momenti da preservare». Gino Cecchettin usa un’immagine proveniente dal suo lavoro, l’informatica, per esprimere il modo in cui ha gestito il dolore per la perdita della figlia Giulia.

Esiste un prima e un dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin. La morte della ragazza di Vigonovo, uccisa dal suo ex fidanzato l’11 novembre del 2023, non è stato soltanto un caso di cronaca, ma un trauma collettivo, capace di smovere le coscienze e riempire le piazze. La sorella Elena Cecchettin ha denunciato in una lettera le responsabilità della società, del patriarcato e della cultura dello stupro. La poesia dedicata a Giulia, Se domani non torno di Cristina Torres Cáceres, è diventata un inno di ribellione alla violenza patriarcale in tutte le sue forme.

«Elena è stata l’elemento scatenante, senza di lei sarebbe finita con il funerale. Sentivo di non poter disperdere quello che si era creato». Da questa necessità nasce il libro Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia, uscito il 5 marzo del 2024. Gino Cecchettin lo ha presentato all’Università Luiss in un incontro organizzato dal Master in Giornalismo e a cui hanno partecipato la vicepresidente della Luiss Paola Severino, il direttore del Master Gianni Riotta e la giornalista Serena Bortone.

Tanti gli studenti e le studentesse che hanno riempito l’aula magna dell’università per assistere all’evento. «Vedere i volti di tanti giovani mi commuove e mi fa pensare a Giulia. Parlare davanti a tutta questa gente mi fa sentire inadeguato, non ho né l’eloquenza, né le competenze. Parlo da papà».

Sopravvivere ai propri figli è un dolore a cui non c’è rimedio, ma Cecchettin non si guarda indietro con rabbia. «Sto lavorando sul senso di colpa, un padre non può mai ritenersi esente. Ho provato tante volte a domandarmi cosa avrei potuto fare meglio, quali segnali avrei potuto cogliere, cosa avrei dovuto chiederle. La verità è che a una ragazza perfetta non si poteva chiedere altro».

La sofferenza intima è presto diventata pubblica: «Non eri più solo mia, dovevo consegnarti a tutti, per fare rumore, perché non si può morire così», si legge nel libro. Attorno alla famiglia si è stretta una comunità: «Mi arrivano tante lettere, tanti messaggi, ho sentito il supporto della gente, ma anche tante storie simili a quella di Giulia». Per mobilitarsi e fare rete con le varie realtà che si occupano di violenza di genere è nata la Fondazione Giulia. «Vogliamo iniziare da progetti formativi nelle scuole con un team di professionisti e supportiamo il lavoro delle associazioni già attive. Ascoltiamo tutti».

I percorsi educativi sono essenziali per scardinare la cultura patriarcale, una decostruzione che ha coinvolto lo stesso Gino: «Sono cresciuto in un cotesto in cui il machismo era dominante e io, ragazzo esile, provavo ad adattarmi». Dalle parole di Cecchettin emerge un alto grado di consapevolezza del patriarcato e le sue dinamiche: «Gli uomini da sempre detengono il potere economico e di fronte all’avanzata dei diritti delle donne non vogliono cedere. È più facile dare la colpa a un mostro o agli istinti animaleschi. Sono giustificazioni che non reggono, il problema è la società. I segnali di un rapporto violento partono dalle parole, dalle piccole limitazioni della libertà. È importante riconoscerli».

Nel 2023, sono stati 120 i femminicidi in Italia. Pochi rispetto agli altri Paesi, direbbe qualche solerte difensore dello status quo, travestito da fact-checker. «Non si può dire che con 120 femminicidi in un anno siamo messi bene. Saremo messi bene quando saranno 0». È bene ricordare che i crimini di genere sono spesso sottostimati e proprio a seguito della morte di Giulia Cecchettin c’è stata un’impennata nelle denunce al 1522, il numero di emergenza contro la violenza sulle donne.

Il libro è stato anche un modo di mettere a tacere la rabbia, «con la grazia tranquilla che mia figlia infondeva in tutte le cose». «Oltre che aiutare “le altre Giulie”, l’ho scritto per farle un regalo e ricordare tutta la bellezza dei momenti insieme».  Lasciare andare le cose è stato l’insegnamento che Gino ha tratto dalla figlia e lo racconta con un aneddoto.

«Ero a fare una passeggiata con Giulia e Davide e un uomo giocava con una macchinina elettrica, alzando polvere e sassolini che potevano far male ai miei figli. Quando gliel’ho fatto notare mi ha risposto male. È bastata la vocina di Giulia per spegnere il mio nervosismo e farmi capire che non ne valeva la pena. Lei non voleva un papà macho, ma uno che si concentra sul vero valore delle cose. E il vero valore era la passeggiata».

Si è ricordato di quel momento anche quando ha dovuto gestire le ondate di odio online: «Fa male pensare che c’è chi crede che io stia facendo tutto questo per lucrare. Come si può pensare questo di un padre?» Ma è inutile preoccuparsi, non sono queste le cose di valore. Lo stesso approccio utilizzato con l’autore dell’omicidio, neanche nominato nel libro: «Ho chiesto agli avvocati di stare il più fuori possibile, sarò presente alle udienze se necessario per rispetto del lavoro dei giudici».

I lutti e le sofferenze hanno il potere di ricalibrare le priorità. «L’ho imparato quando ho visto mia moglie Monica morirmi tra le braccia. La vita è corta, ottimizzatela». Gino Cecchettin ottimizza la sua vita custodendo i gesti quotidiani di Giulia, un’espressione buffa, i nomignoli, i balletti «insignificanti per l’economia della vita, ma impagabili per ciò che mi lasciano nell’anima».

Non un token, un monolito, ma piccoli momenti da preservare. Custodirli è l’unico modo che ha trovato per alleviare il dolore: «Se in quella serata d’amore con mia moglie avessi guardato un film, Giulia non ci sarebbe stata. Probabilmente non avrei sofferto, ma pur con il dolore sono felice di aver avuto una figlia e di essermela goduta per 22 anni. Quando mi viene da piangere penso a lei quando faceva i suoi balletti e mi diceva “Ciao papino”. E si va avanti».

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