«Amo come amo, Ich liebe wie ich liebe, Amo como amo» è lo slogan che compare sul carro rosso delle ambasciate tedesca e messicana, che partecipano alla parata. Il Roma Pride del 15 giugno 2024 è tutto una festa: ci sono colori dappertutto, voci che si mischiano tra le strade della capitale, persone che sventolano bandiere arcobaleno, danze e canzoni interpretate, sentite, vissute. Identità spezzate e vite ritrovate, lotte perse e battaglie ancora da vincere, emozioni e sentimenti che si intrecciano in un’unica grande parola: comunità. C’è chi partecipa alla manifestazione che celebra l’orgoglio Lgbtq+ per la prima volta, misurando ogni passo e affrontando la paura, e chi invece è un veterano ed esprime con fierezza se stesso, senza remore.
«Abbiamo scelto questo slogan per il nostro carro per diffondere il messaggio che ognuno è libero di amare chi e come vuole in italiano, tedesco e spagnolo. Con questa frase si vuole inviare un segnale semplice: il Messico e la Germania riconoscono il diritto di tutti a una vita piena. Tre parole che hanno un valore universale, non escludono nessuno, perché abbracciano ogni forma di identità e/o sessualità», spiega Rodrigo Zepeda, collaboratore dell’Ambasciata del Messico.
Colori, costumi, trucchi e musica non sono lasciati al caso: «Il tema del carro è il rosso perché in primis è emblema dell’amore e poi è l’unico colore ad essere presente nelle bandiere della Germania, del Messico e dell’Italia. Come sappiamo, in queste occasioni la creatività e l’estro artistico sono sempre accolti con entusiasmo, per cui invitiamo i nostri colleghi ad usare trucchi e abiti stravaganti. Ad occuparsi della musica un dj italo-tedesco queer, famoso per i suoi remix culturali» dice Isaura Portillo, capo ufficio politico dell’Ambasciata.
Oggi più che mai, in un periodo storico in cui correnti politiche di estrema destra che si oppongono ai diritti Lgbtq+ stanno ricevendo sempre più consenso – come dimostrato anche dai risultati delle ultime elezioni europee – è essenziale alzare la voce e scendere in piazza per esprimersi in favore della libertà. «Ogni anno onoriamo il mese del Pride con iniziative diverse e creative», aggiunge Zepeda.
Giugno è infatti conosciuto come il “Pride Month”, mese in cui si organizzano eventi rivolti a sensibilizzare i cittadini sulle “tematiche arcobaleno” e si festeggiano i Pride a livello globale. Per trenta giorni la comunità queer è al centro dei riflettori di un palco dal quale si discute di parità, uguaglianza e diversità. È importante ricordarsi, però, che il Gay Pride prima di essere una festa e una marcia pacifica è stato una protesta e una rivoluzione simbolica.
«Say it clear, say it loud. Gay is good, gay is proud» («Dillo in modo chiaro, urlalo. Essere gay è giusto, essere gay è motivo d’orgoglio»). Questo è uno degli slogan utilizzati durante i Moti di Stonewall. Tutto ebbe inizio nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1969 a New York, quando un gruppo di persone Lgbtq+ si ribellò in seguito a un’irruzione violenta della polizia allo Stonewall Inn, un bar situato in Christopher Street nel Greenwich Village. Negli anni Sessanta, infatti, le forze dell’ordine erano solite pianificare retate nei locali gay americani picchiando, arrestando e minacciando gli avventori. Per la prima volta, i membri della comunità decisero di scendere in strada mostrandosi per quello che erano: diversi, liberi e fieri, rivendicando il loro diritto ad esistere in quanto esseri umani e non più come estromessi ai margini della società.
In Italia questo vento di cambiamento arrivò qualche anno più tardi. Il 2 luglio 1994, Roma ospitò il primo Gay Pride nazionale ufficiale, organizzato dal Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli. Erano in più di diecimila a marciare da piazza Santi Apostoli a Campo de’ Fiori. Oggi, nel 2024, sono passati trent’anni dal punto di svolta: «È fondamentale rievocare questo periodo perché ha dato inizio a una storia, la nostra storia. Senza il coraggio di quelle persone che sono scese in piazza sfidando i tempi, molto di quello che abbiamo conquistato oggi non ci sarebbe. Quest’anno, celebriamo quelle persone e il nostro orgoglio. È un trentennale significativo», dice Mario Colamarino, portavoce del Roma Pride e presidente del Circolo Mario Mieli.
Ma i dati non delineano una realtà inclusiva. Secondo Amnesty International, 63 Stati nel mondo criminalizzano gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso. Tra questi, 8 prevedono la pena di morte e 9 la reclusione a vita. «Viviamo in un Paese in cui il governo Meloni vota in Europa contro una direzione pro-Lgbtq+, insieme a Nazioni come la Repubblica Ceca. Ma l’Italia fa peggio. Nella lista Ilga (International Lesbian and Gay Association), che mappa la violazione dei diritti della comunità in Europa sulla base di politiche che hanno un impatto diretto su di essa, siamo scesi al trentacinquesimo posto, dietro l’Ungheria di Orbán. Questo corteo è un modo per far sentire la nostra voce. Per far capire che ci siamo e non vogliamo nasconderci, come qualcuno vorrebbe, soprattutto chi ci governa in questo momento», continua il portavoce.
Come scrive Mark A. Roeder, autore statunitense, «il mondo intero continua a parlare di amore» e i «poeti passano la vita a scriverne», eppure ancora si fatica a non giudicare quello degli altri. Dante Alighieri ci aveva visto lungo quando concludeva la Divina Commedia con la frase: «L’amor che move il sole e l’altre stelle». Non esiste sentimento più forte e meno mutabile di esso, l’unico in grado di continuare la rivoluzione iniziata quasi sessant’anni fa a New York. La soluzione risiede nelle parole comparse su un muro esposto a Trastevere nel 2023, dipinto dall’artista romano Mirko Leuzzi: «All’amor si sta in silenzio».
Leggi questo articolo anche nel nostro periodico di giugno (a pag 40 e 41)