Il sacro vate,/placando quelle afflitte alme col canto,/i prenci argivi eternerà per quante/abbraccia terre il gran padre Oceàno. Nessuno potrebbe spiegare il ruolo della poesia meglio di come ha fatto Ugo Foscolo (1778-1827) nel carmen Dei sepolcri: tramandare un racconto, consegnare all’eternità una persona. E chi, se non Omero (il sacro vate), poteva essere preso come modello di riferimento: Iliade e Odissea, poemi epici, hanno reso immortali Ettore, Achille e Agamennone.
Forse non sono in tanti a sapere che il cantore di Chio è stato, per quanto ne sappiamo al momento, anche il primo a descrivere una competizione sportiva. È stata organizzata per onorare la memoria di Patroclo, soldato mirmidone, cugino e amante di Achille, morto durante l’assedio alla città di Troia: corsa con i carri, pugilato, lotta, corsa a piedi, duello con lancia, lancio del disco, del giavellotto e tiro con l’arco sono le gare disputate. Anche la guerra si interrompe per il rispetto del lutto e della competizione sportiva. Da quel momento, la nascita dei Giochi olimpici nel 776 a.C. è stata seguita da una letteratura per esaltare gli atleti e la grande polis eponima, Olimpia.
Il poeta lirico Pindaro, VI-V secolo a.C., è infatti autore di epinici, canti composti per celebrare i vincitori delle grandi gare panelleniche. La vittoria del singolo è sentita come qualcosa che coinvolge la collettività nel suo insieme. Le Olimpiadi antiche furono celebrate fino al 393 d.C., anno in cui l’imperatore romano Teodosio ne decretò la fine in quanto manifestazione pagana. Tredici anni prima, l’editto di Tessalonica ha imposto il cristianesimo come religione di stato.
Sono riprese nel 1896 e da allora, ogni quattro anni, si è ricominciato a raccontarle per mezzo di libri e film, intenti a raccogliere attimi, gare e racconti da consegnare alla Storia. Perché non si tratta solo di descrivere un evento sportivo, ma di interpretarlo e contestualizzarlo all’interno della rispettiva sfera sociale.
Il saggio Breve storia delle Olimpiadi. Lo sport, la politica da de Coubertin a oggi consente al professore di Storia contemporanea all’Università di Trento, Umberto Tulli, di tracciare un percorso che va dalla decisione del barone francese di far ricominciare le competizioni ad Atene nel 1896 fino a quelle di Londra del 2012. L’autore mette insieme politica internazionale e sport per arrivare a individuare i Giochi come uno strumento utile a comprendere i meccanismi del mondo in cui viviamo tra record ginnici, propaganda, doping e boicottaggi.
Proprio di questo parla il romanzo di Manuel Vázquez Montalbán Sabotaggio olimpico. Durante Barcellona 1992, il Comitato internazionale olimpico (Cio) chiede all’investigatore privato e protagonista Carvalho di indagare su un tentativo di boicottaggio tra situazioni paradossali e fantasia per descrivere il mondo dopo il crollo del Muro di Berlino. Alcuni sportivi sono stati rapiti, molti atleti bianchi prendono farmaci per diventare neri, il presidente americano Bush sta per bombardare la capitale della Catalogna confondendola con l’irachena Baghdad, mentre il Papa Giovanni Paolo II si aggira per la città travestito da lanciatrice di giavellotto.
Dallo sport alla storia, dal libro al film. A partire dal XX secolo, anche il cinema decide di ritrarre alcuni momenti significativi dei Giochi. Indimenticabile è Momenti di gloria: quattro oscar per il film di Hug Hudson che racconta la storia di alcuni universitari di Cambridge alle Olimpiadi del 1924 a Parigi e, in particolare, di due ragazzi, Eric Liddell e Harold Abrahams, uno ebreo e l’altro cristiano, uniti da una forte amicizia. Liddell scopre che la gara di qualificazione dei 100 metri sarà di domenica e, dal momento che la domenica è dedicata al Signore, non voleva partecipare e un compagno lo sostituisce cedendo il suo posto per la corsa dei 400 metri dove vinse l’oro. Abrahams, invece, conquistò l’oro nei cento. Olympia di Leni Riefensthl ritrae i Giochi di Berlino 1936 e anche l’afroamericano Jesse Owens, vincitore di quattro ori olimpici sotto gli occhi del Führer Adolf Hitler.
Tutte le tappe del Novecento sono state rappresentate sul grande schermo. Unbroken di Angelina Jolie mette in scena la vita di un atleta olimpico che presta servizio nell’aviazione americana ed è catturato dai giapponesi durante la Seconda guerra mondiale. Children of Glory di Krisztina Goda, raccontando le Olimpiadi di Melbourne del 1956, parla della rivolta in Ungheria mentre Munich di Steven Spielberg ricorda quelle del 1972, quando a Monaco furono assassinati undici atleti israeliani.
Il film Wilma di Bud Greenspan racconta, invece, la storia di Wilma Rudolph e della storia d’amore vera o presunta con Livio Berruti alle Olimpiadi di Roma del 1960. La foto di loro due presi per mano ha fatto scandalo: sono passati solo cinque anni da quando Rosa Parks in Alabama è stata arrestata per non aver lasciato il posto a un bianco sull’autobus.
In principio, l’agone riguardava atleti che gareggiavano per ottenere la palma della vittoria. Poi, il concetto di competizione è scivolato nel campo della politica, a partire dalla prima sofistica di età ellenistica e si è esteso a tutto il mondo che ci circonda. Ogni pratica del vivere quotidiano si trasforma in una gara per primeggiare: la vittoria, da scopo e obiettivo personale per la gloria, diventa strumento giornaliero di valutazione singola e sociale.
In ogni momento c’è una battaglia per dimostrarsi migliori: non conta vincere per sé, l’importante è superare gli altri. La metamorfosi agonale è al centro dell’ultimo libro di Stefano Bartezzaghi Chi vince non sa cosa si perde. Agonismo, gioco, guerra, in cui si affronta il tema della vittoria come unità di misura del valore della persona. Nel 2023 la squadra dei Milwaukee Bucks ha perso al primo turno dei playoff Nba, massima serie di basket americano, contro i Miami Heat. Un giornalista ha chiesto al giocatore greco Giannis Antetokoumpo, premiato come miglior giocatore della stagione 2019-2020, se considerasse fallimentare l’intera stagione sportiva. La risposta è da manuale: «Michael Jordan ha giocato per quindici anni e ha vinto sei volte il titolo Nba. Vuol dire che gli altri nove anni sono stati un insuccesso? Questo è lo sport: non devi sempre vincere, vincono anche gli altri. Non esiste il fallimento».
Oggi più che mai si sente il bisogno di normalizzare lo sbaglio, di ricondurlo ad una dimensione quotidiana. D’altronde, tutti gli eroi vanno all’avventura errando. Il drammaturgo e poeta irlandese Samuel Barclay Beckett ha scritto così nel romanzo Malloy: «Ho provato, ho fallito. Non importa, riproverò. Fallirò meglio». Nello sport, come nella vita.