«Siamo in una “carestia di CO2”», questa frase, diventata virale nelle ultime settimane, è presa da un’intervista che il professore di fisica William Happer ha rilaciato a Sky News Australia, andata in onda nel settembre del 2023. Il video è stato diffuso da numerosi account X italiani e stranieri legati al negazionismo climatico e ai movimenti no-vax.
Happer ha insegnato per anni all’università di Princeton, la sua specializzazione era l’ottica moderna e la spettroscopia ottica. Da molti anni, però, si è affermato come voce di spicco nell’universo dei negazionisti del cambiamento climatico e dell’origine antropica di quest’ultimo, nonostante sul tema esista un consenso scientifico. È direttore della CO2 Coalition, fa parte del consiglio consultivo accademico della Global Warming Policy Foundation ed è membro di Climate Exit (Clexit), un gruppo formato poco dopo la decisione del Regno Unito di lasciare l’Unione Europea, basato sul presupposto che «Il mondo deve abbandonare questa suicida crociata sul riscaldamento globale».
Nel 2018 è entrato a far parte del National Security Council dell’amministrazione Trump come direttore per le tecnologie emergenti. Nel 2019, alcuni documenti ottenuti dal Washington Post hanno rivelato che avrebbe guidato una proposta di Comitato Presidenziale sulla Sicurezza Climatica per influenzare le decisioni del presidente Trump sulle questioni climatiche. Arricchiscono il suo curriculum i finanziamenti ricevuti dall’industria dei combustibili fossili. Ad esempio, secondo un’indagine condotta da Greenpeace, Happer ha ammesso di essere stato pagato 8 mila dollari dalla Peabody Energy per una consulenza del 2015 nello stato del Minnesota sugli impatti dell’anidride carbonica. I fondi sono stati convogliati attraverso la CO2 Coalition.
Quella per la CO2 e le sue “magnifiche sorti e progressive” sembra essere un’ossessione per il professore, come testimonia una serie di sue dichiarazioni: «Stiamo facendo del nostro meglio per cercare di contrastare questo mito secondo cui la CO2 è un inquinante pericoloso. Non è affatto un inquinante». Oppure: «Più CO2 è in realtà un beneficio per la Terra». O anche: «Le persone non si rendono conto che siamo in una carestia di CO2 in questo momento. Siamo a un livello inferiore di 4 o 5 volte rispetto ai livelli che le piante desidererebbero davvero».
«È un cortocircuito in cui purtroppo cascano in molti», spiega Giulio Betti, meteorologo, climatologo del Consiglio Nazionale delle Ricerche e autore del libro “Ha sempre fatto caldo! E altre comode bugie sul cambiamento climatico”. «C’è un’intera sezione del mio libro che dedico a questo argomento, tra i più gettonati da scettici e negazionisti. È sicuramente vero che l’anidride carbonica è un gas necessario alla vita sul nostro pianeta, ma anche mangiare 50 mele al giorno non fa bene».
Ciò che conta è la capacità del pianeta di assorbirla: «Sebbene le emissioni di CO2 di origine antropica siano 15 volte inferiori rispetto a quelle mosse dai vari sistemi naturali, una parte rilevante di queste finisce per alterare il bilancio energetico del pianeta. Le famose 421 PPM (parti per milione) odierne rappresentano la porzione non assorbita che influenza l’andamento del clima sulla Terra».
Soprattutto, il modo e i tempi con cui siamo arrivati a questo dato è allarmante: «Dire che ci sono stati cambiamenti repentini è un eufemismo, non ci sono precedenti. L’attuale concentrazione è la più alta degli ultimi 14 milioni di anni. Nell’Eocene ci fu un picco termico determinato dalle emissioni di vulcani in cui la temperatura media terrestre era di 12-13 gradi superiore a quella di oggi. Ma questo rialzo di temperature si raggiunse in 20 mila anni con un ritmo di 0,5-0,6 gradi in più ogni 1000 anni. In più, le attività umane emettono 37 gigatonnellate di CO2 l’anno, 41 volte maggiori di quelle prodotte dai vulcani dell’Eocene».
Insomma, non è tanto il processo in sé, ma la velocità che desta preoccupazioni, lo stesso vale per le piante: «Più CO2 non equivale a un mondo più verde. La superficie terrestre ricoperta da foreste si è ridotta del 10% negli ultimi 100 anni. A farne le spese sono soprattutto le foreste tropicali, che sono anche le più efficienti nell’assorbire l’anidride carbonica in eccesso». Va registrato, però, anche un aumento negli ultimi anni di zone boschive e foreste: «A causarlo non è certamente la maggiore disponibilità di anidride carbonica, ma l’abbandono delle zone rurali, l’introduzione di tutele ambientali e i progetti di riforestazione». Le politiche e le azioni umane contano: «Tagliare le emissioni di origine antropica non lascerà gli alberi senza nutrimento, piuttosto porrà le basi per un clima sempre più stabile, così da permettere a piante e animali di adattarsi».
Le parole di William Happer, oltre che fuorvianti, sono cariche di amara ironia. Secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC (il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico) il cambiamento climatico sta già influenzando la sicurezza alimentare a causa dell’aumento delle temperature, dei cambiamenti nei modelli di precipitazioni e della maggiore frequenza di alcuni eventi estremi. Sono queste le carestie di cui bisognerebbe occuparsi.
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