Cavalletti di legno, tubetti di pittura, grembiuli sporchi, pennelli e tele di tutte le misure, tavolozze appese, matite da disegno, acquerelli color pastello, l’odore dell’acrilico e centinaia di vasetti di vernice tra gli scaffali. Questa è l’atmosfera che avvolge il visitatore quando varca la soglia del negozio Bordi Belle Arti. Si trova nel cuore di Roma e, proprio come vuole la tradizione delle botteghe d’epoca, è a conduzione familiare. I proprietari, infatti, sono marito e moglie: l’artista Claudio Bordi e la guida Francesca Venturini.
«Questa è una bottega storica, perché nasce nel 1910. Più di quindici anni fa, abbiamo deciso di ricreare la dimensione culturale della vera bottega d’arte, organizzando corsi di pittura e visite guidate. Abbiamo più di cento studenti che imparano a dipingere, dall’arte medievale a quella più contemporanea. Qui noi creiamo con il bambino di un anno, ma anche con il grande restauratore, come oggi», dice Venturini.
Proprio in questo spazio, che catapulta le persone tra il 1400 e il 1500, il maestro Antonio Forcellino sceglie di presentare il suo nuovo libro Dipingere il sogno: il miracolo dell’arte italiana da Cimabue a Caravaggio, pubblicato il 29 ottobre 2024. Un testo che parla di arte e Rinascimento, di pittori – prima allievi, poi talenti – e di opere che hanno rivoluzionato per sempre il nostro modo di concepire questo mondo e la sua bellezza. Molti di questi capolavori l’autore, uno dei più grandi restauratori italiani, li ha toccati con mano, riportandoli in vita attraverso una meticolosa ricerca e una profonda passione.
Elementi che gli hanno permesso di raccontare la storia delle grandi botteghe italiane, ovvero il luogo in cui gli artisti imparavano il mestiere da un maestro d’arte. Infatti, nel Cinquecento, era consuetudine mandare “a bottega” i propri figli, affinché potessero sviluppare al meglio le loro doti e apprendere le varie tecniche di lavoro: dalla frantumazione del gesso alla preparazione dei pigmenti. Ad esempio, è noto che Leonardo Da Vinci andò dal Verrocchio e Michelangelo dal Ghirlandaio.
«Ho scelto di raccontare questa storia, perché non esiste l’arte italiana al di fuori delle botteghe, cioè al di fuori di una dimensione collettiva in cui il sapere cresce proprio perché esiste, seppure molto gerarchizzato, un lavoro comunitario. Presentare il mio libro all’interno di Bordi Belle Arti per me è un onore, perché è il posto che più somiglia alle vere botteghe, soprattutto per gli odori, che restano sempre gli stessi: la trementina, l’olio, la colla, la ceralacca», dice Forcellino.
Tra le righe del suo saggio, il maestro lascia trapelare l’ammirazione che prova nei confronti dei «tre mostri dell’arte rinascimentale italiana»: Raffaello, Leonardo e Michelangelo. «Queste tre icone vantano una tecnica indescrivibile. Però non basta. Bisogna unire tutto questo alla loro straordinaria capacità di immaginare e restituire un’emozione al pubblico. Ad esempio, nel Trionfo di Galatea, Raffaello mostra una sicurezza di gesto spaventosa e ogni pennellata è perfetta nella curva o nella gradazione del pigmento. Sembra quasi che il suo pennello abbia vita propria», spiega il restauratore.
E continua: «Vorrei sottolineare anche la capacità di immaginare del pittore urbinate. Chi avrebbe mai pensato di raffigurare Maria come fa lui nella Madonna della Seggiola? Con questo dipinto, cambia completamente la visione religiosa. Con Raffaello la Madonna smette di essere una figura che riflette quella di Gesù Cristo e diventa una madre, con cui il pubblico inizia a familiarizzare, condividendo con lei l’esperienza della maternità».
Leonardo, invece, viene descritto come «il grande trasgressivo». Secondo Forcellino è «l’inconcludente, l’uomo che si perde. Leonardo promette e poi segue l’istinto e il suo delirio. Ma allo stesso tempo, grazie alle sue qualità, risulta essere anche l’inarrivabile». La sua tecnica è volta alla dissoluzione: «Prendiamo la Gioconda. Come ti può venire in mente di rappresentare una donna senza dei dettagli materiali? Senza sopracciglia, con un’espressione appena accennata? Le sue caratteristiche quasi si “sciolgono” in una luce perpetua. E sta qui il genio del Da Vinci: spingere la sua ricerca oltre la dissoluzione».
Michelangelo è il pittore a cui Antonio Forcellino è più affezionato, avendo restaurato il Mosè e da sempre apprezzato la sua capacità di intrecciare le arti: «La cosa impressionante è che il Buonarroti era in grado di fare pittorico quando scolpiva», spiega. Grazie a questa abilità, Michelangelo iniziò a trattare i marmi in modo diverso. Ad esempio, lustrava con il piombo solo le parti più sporgenti, quelle che ricevevano la luce diretta, lasciando le altre a una finitura più rustica. In questo modo, le sculture acquistavano una profondità nuova e un carattere pittorico.
«Noi non ci siamo accorti di tutto questo per cinquecento anni. Io l’ho scoperto quando pulivo l’opera. Mentre usavo un cotone imbevuto, a un certo punto ho sentito che scivolava diversamente in base alla zona che trattavo. Poi ho usato la torcia del mio telefono per controllare e ho notato che la luce rifletteva in modo differente in virtù di come la spostavo. Questa diversificazione delle superfici Bernini, per esempio, non l’ha mai fatta», aggiunge.
La presentazione si conclude con un’ultima riflessione del maestro Forcellino: «L’arte non risiede nella dimensione conoscitiva, come pensano in molti, ma in quella emotiva. Il rapporto con l’opera d’arte è di tipo amoroso, che viene rinnovato ogni volta che si rivede quel quadro, quella scultura e così via. Quante persone avete sentito dire nella vostra vita: “Ma andiamo a vedere un’altra volta quella chiesa? L’abbiamo già vista”? Tutto questo non ha senso. Sarebbe come dire: “Abbiamo fatto l’amore una volta, quindi ora non lo facciamo mai più”».