Esclusiva

Gennaio 8 2025
Ombre cinesi su Taiwan, le prospettive nell’alleanza tra Taipei e Washington

In attesa del secondo mandato di Donald Trump, gli Stati Uniti confermano l’impegno a fianco di Taiwan. Per Casanova (Ispi), il 2025 sarà un anno «di assestamento più che di svolta»

«Nessuno può fermare la riunificazione con Taiwan», queste sono state le parole del presidente cinese Xi Jinping alla Nazione nel discorso di Capodanno trasmesso dai media statali. Con l’arrivo del 2025 sono in molti a chiedersi se ci saranno sviluppi nella questione taiwanese. Il ricercatore dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) Guido Alberto Casanova ritiene che «il 2025 possa essere l’anno dell’assestamento piuttosto che quello della svolta, dopo i burrascosi mesi successivi all’inaugurazione del nuovo presidente taiwanese Lai Ching-te» nel gennaio 2024.  Per l’esperto, l’escalation progressiva osservata nel corso dello scorso anno è la «nuova normalità», non la preparazione di un attacco, poiché «Pechino al momento non è pronta a lanciare un’offensiva su larga scala».

L’ex Celeste Impero non ha mai nascosto le mire sull’isola e ha intensificato le incursioni attorno alla «provincia ribelle». L’obiettivo dichiarato della Cina ha spinto Taiwan ad aumentare la spesa per la difesa: stando a un rapporto del Congressional Research Service degli Stati Uniti, dal 2019 al 2023 è cresciuta in media di circa il 5% all’anno.

Primo produttore di semiconduttori, Taiwan è un nodo strategico nel Mar Cinese meridionale. Questa porzione dell’Oceano Pacifico è una delle rotte più trafficate: secondo le Nazioni Unite (Onu) nel 2023 circa il 24% del commercio marittimo globale è passato da qui. La Cina punta a emarginare l’isola dagli organismi internazionali, come l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), screditando il presidente taiwanese Lai Ching-te, esponente del Partito progressista democratico e grande sostenitore dell’indipendenza. Nel frattempo, gli alleati di Taipei non sono molti e Pechino porta avanti con assertività la «politica di un’unica Cina» – nota come «One China Policy» – oltre che il rafforzamento dell’Esercito Popolare di Liberazione.

Pur facendo parte dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e del Forum di Cooperazione Economica Asia-pacifico (APEC), Taiwan non è membro dell’Onu ed è riconosciuta solo da 12 Paesi: Guatemala, Belize, Haiti, Paraguay, Santa Lucia e Saint Vincent, Saint Kitts e Nevis, Grenadine, Isole Marshall, Palau, Tuvalu, Swaziland e il Vaticano. 

Gli Stati Uniti sono l’alleato di maggior peso su cui l’isola di 23 milioni di abitanti può contare. L’assistenza militare sotto la guida del presidente uscente Joe Biden non è mancata come dimostra, tra le altre cose, il recente invio di 38 carri armati Abrams, «un importante segnale considerato il fatto che a questa consegna ne dovrebbero seguire altre nei prossimi anni». Ciò, per Casanova, non deve però «trarre in inganno» poiché «i carri armati entrerebbero in gioco solo in caso di un’invasione, sarebbero inutilizzabili in altri scenari come quello del blocco navale» e «non rappresentano la prima linea difensiva con cui un’eventuale attacco cinese si dovrebbe scontrare». 

In attesa del ritorno alla Casa Bianca del neoeletto Donald Trump, il nuovo Bilancio della Difesa degli Stati Uniti – firmato da Joe Biden – fornisce 300 milioni di dollari per permettere a Taiwan di difendersi. Già con la prima amministrazione di “The Donald” (2016-2020), la Casa Bianca ha spostato il baricentro della politica estera dall’Unione europea all’Indo-pacifico, regione in crescita e menzionata nella Strategia di Sicurezza Nazionale americana del 2017 come «la parte economicamente più dinamica del mondo». 

Nonostante il sostegno a Taiwan, però, gli Stati Uniti non hanno un trattato di difesa formale con l’isola e le garanzie offerte dall’amministrazione Biden «hanno un carattere informale». Pur riconoscendo che con il tycoon la posizione degli Stati Uniti potrebbe subire lievi modifiche, l’esperto crede che «a Washington ci sia consenso sul fatto che l’isola vada difesa da un eventuale attacco cinese», perché «è impensabile che sotto Trump gli Stati Uniti possano abbandonare Taiwan».