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Esclusiva

Aprile 17 2023
La nave da guerra USS Milius solca i mari di Taiwan

Gli Stati Uniti non accettano la dichiarazione unilaterale della Cina di chiusura delle acque internazionali

«Gli Stati Uniti regolarmente navigano in acque libere seguendo il diritto internazionale. Navigare dove la legge lo consente significa rifiutare la dichiarazione unilaterale di chiusura delle acque. Il messaggio politico è non accettare le pretese cinesi su Taiwan». Gregory Alegi, professore di Relazioni Internazionali all’Università Luiss Guido Carli, commenta il passaggio del cacciatorpediniere americano Uss Milius nello Stretto di Taiwan. La nave da guerra americana ha attraversato lo Stretto al di fuori delle acque territoriali dell’isola asiatica a pochi giorni di distanza dalla conclusione delle esercitazioni militari cinesi intorno all’area.

Il colonnello Shi Yi, portavoce dell’esercito popolare di liberazione, ha affermato che «il livello di allerta è molto alto» e le forze armate «difenderanno la sovranità e la sicurezza nazionale nonché la pace e la stabilità regionali».

Ciò che spaventa gli avversari di Pechino è la forza numerica degli armamenti orientali. «La guerra in Ucraina ha dimostrato la superiorità di quelli occidentali sugli altri. Quelli cinesi non sono stati provati in combattimento con un avversario di pari livello, quindi nonostante i numeri la qualità rimane un’incognita. Lo abbiamo già visto con la Russia che, alla prova dei fatti, si è dimostrata meno capace di quanto venisse valutato in occidente», continua il Prof. Alegi.
Il passaggio degli Stati Uniti nello Stretto è un messaggio politico bivalente. Da una parte utilizzare tutti i diritti di navigazione e solcare le acque dello Stretto di Taiwan significa non accettare la dichiarazione unilaterale cinese. Allo stesso tempo però è un messaggio di vicinanza, protezione e sostegno nei confronti dell’isola.

Già dall’inizio della guerra in Ucraina, gli Stati Uniti hanno dimostrato supporto al paese invaso con la consegna di armamenti. «La Cina potrebbe voler sfruttare un periodo non tanto di debolezza quanto di impegno politico: distrarre l’attenzione americana dall’Ucraina, quindi aiutare la Russia e costringere gli americani a pensare due fronti contemporaneamente. Si tratta di avere minore attenzione intellettuale e minore capacità di far convergere capitale politico su entrambe le situazioni».

Voci come l’utilizzo di armamenti e la manutenzione diventerebbero quindi rilevanti. L’enorme consumo di munizioni dirette verso l’Ucraina si traduce in una difficoltà da parte dell’occidente di rimpiazzare quelle impiegate. Un secondo aspetto risiede nella strategia complessiva del comando e controllo della gestione dei grandi numeri. Anche in questo caso la guerra in Ucraina dimostra che «il modello occidentale è più flessibile rispetto a quello orientale molto rigido».

Difficile definire la posizione che l’Europa potrebbe prendere dinnanzi a un conflitto che vede come attori la Cina e Taiwan. «Qual è il numero di telefono dell’Europa?», dice il professore Alegi richiamando la celebre frase di Kissinger per fare intendere che l’Unione Europea non ha una linea comune ma, al contrario, è ancora in bilico fra gli umori dei singoli paesi. «Mentre sulle regole del mercato non c’è dubbio che l’UE abbia una gerarchia superiore a quella dei membri, questo non esiste in politica estera. Se paesi come la Francia ritengono di avere accordi vantaggiosi con la Cina, l’Europa non può impedirlo, ammesso che lo voglia fare. Al momento non c’è una posizione europea, ci sono singole posizioni, singoli paesi che fanno quello che ritengono opportuno e conveniente».

La Cina da sempre compete per il primato di colosso economico con gli USA. «Bisogna ricordare che la guerra interessa poco alla Cina, la sua crescita economica è dovuta alle esportazioni: produce per il mercato internazionale: una guerra che vede coinvolti i paesi con cui commercia è un limite a cui non vuole arrivare».