A Parigi l’Europa prova a rispondere al presidente USA Trump. Inizia il vertice d’emergenza proclamato da Emmanuel Macron. Convocati i capi di governo di Germania, Regno Unito, Italia, Polonia, Spagna, Paesi Bassi e Danimarca con i presidenti della Commissione UE Ursula Von der Leyen e del Consiglio Antonio Costa. Presente anche il segretario della Nato Mark Rutte. Ci sarà anche Giorgia Meloni, che avrebbe espresso malcontento per le modalità di convocazione e ribadito di continuare a vedere Trump come un alleato.
«Nessuna pace senza l’Europa» dovrebbe essere il motto all’Eliseo, intanto, però, a breve rappresentanti di Russia e Stati Uniti si incontreranno in Arabia Saudita per intavolare dei negoziati.
«C’è un nuovo sceriffo in città», aveva esordito così il vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco di venerdì 14 febbraio. Appena eletto, Donald Trump ha indossato lo spolverino e tirato fuori il winchester per provare a imporre la sua legge nel Far West delle relazioni internazionali.
Di fronte all’uomo con la stella al petto, l’Unione europea, riunitasi al Parlamento di Strasburgo per la seduta plenaria dal 10 al 13 febbraio, sembra essere impreparata. Nelle sessioni di discussione, i metodi del presidente USA destano per lo più sospetto e preoccupazione, ma in alcuni casi anche entusiasmo.
«L’amministrazione Trump sta adottando un approccio deciso e pragmatico, puntando a risultati rapidi», commenta Alberico Gambino, eurodeputato di Fratelli d’Italia e vicepresidente della Commissione per gli affari esteri del Parlamento Europeo: «L’UE deve agire con la stessa lucidità, non possiamo permetterci esitazioni né divisioni, perché la nostra credibilità dipende da scelte chiare e coerenti». “Divisione”, però, sembra il leit motiv su tutti gli argomenti chiave, anche quelli che sembravano più condivisi nella precedente legislatura. «Quella di Trump non è una strategia», dice, più cauta, Lucia Annunziata, eurodeputata del Partito Democratico e anche lei membro della commissione affari esteri, «ma è un modo per usare la continua destabilizzazione delle parole». Si concentra sul linguaggio del presidente americano anche Danilo Della Valle, Movimento 5 Stelle: «Trump è diretto e muscolare nel rivolgersi a un’America stanca della retorica utilizzata dai democratici per mascherare scelte di politica estera che non avevano nulla di “politically correct”».

Martedì 11 febbraio, l’emiciclo di Strasburgo ha accolto con entusiasmo il presidente del parlamento ucraino Ruslan Stefanchuk. La risposta dell’Europa al rischio di venire estromessa dai colloqui di pace sull’Ucraina, però, è titubante. Mentre perde terreno l’idea del “whatever it takes” fino alla vittoria sulla Russia. «Mantenere fermo il sostegno all’Ucraina, rafforzare la cooperazione transatlantica e, al tempo stesso, promuovere ogni sforzo diplomatico per arrivare a una soluzione politica del conflitto», è la ricetta di Gambino. Se si arriva a parlare dell’ingresso del Paese aggredito nella Nato, «principale garanzia per una pace duratura» secondo Stefanchuk, le voci si fanno più dubbiose. «Credo sia una di quelle storie che deve passare per un periodo di raffreddamento lungo, in cui provare formule di neutralità», dice Annunziata. «Se vogliamo seriamente discutere di un processo di pace stabile e duraturo, dobbiamo smettere di seguire discorsi privi di senso», taglia corto Della Valle, che aggiunge: «A mio avviso, sarebbe necessario rivedere completamente la funzione della Nato. La Guerra Fredda è finita e il mondo è cambiato».

Un altro scenario aperto è quello medio-orientale. Conclusa la plenaria, la presidente dell’Eurocamera Roberta Metsola si è recata in Israele e nei territori palestinesi per confrontarsi con le autorità locali ed è stata la prima leader europea ad entrare nella Striscia di Gaza da più di un decennio. Nonostante ciò, l’istituzione europea fatica a individuare una strategia comune, poiché la soluzione “due popoli due stati” ora sembra impraticabile. «È un vuoto slogan da anni: il trasferimento di coloni permanenti, giustificati anche da Israele, ha di fatto reso impossibile per scarsità di territorio la definizione di due diverse entità che possano abitare in due diversi mondi», afferma Lucia Annunziata. Un pensiero condiviso anche da Danilo Della Valle: «Quali sarebbero i due Stati? Gaza è un cumulo di macerie; Israele, da anni, sostiene i coloni nella sottrazione di nuove terre a danno dei palestinesi. In Cisgiordania non esiste più l’Autorità Nazionale Palestinese». L’auspicio del deputato dei 5 stelle è che si possa definire «una nuova comunità politico-statale che includa sia gli arabo-palestinesi sia gli ebrei israeliani». Ma la priorità resta il raggiungimento della stabilità. «Senza garanzie di sicurezza per Israele e senza una leadership palestinese affidabile e credibile, questa soluzione rischia di rimanere uno slogan vuoto», è il parere di Alberico Gambino.
L’Europa, da sempre impegnata in prima linea nella difesa dei diritti umani e nella gestione delle crisi umanitarie nel mondo, è al contempo esitante nell’assumere il ruolo di potenza mediatrice: «Siamo davvero davanti a un fallimento epocale nelle strategie di politica estera della Commissione Europea, ma sembra che nessuno si renda conto della portata del disastro», commenta Gambino. C’è chi, invece, pensa di poter trarre vantaggio dalla nuova leadership americana: «Più l’America si ritira nel suo nazionalismo più si aprono spazi internazionali per l’Europa, che può allargare la sua sfera di influenza in termini diplomatici e militari», spiega Annunziata.

Lontano dai riflettori, altri conflitti riempiono le pagine secondarie dei giornali, come la guerra civile nella Repubblica Democratica del Congo, aggravatasi dalla recente caduta della città di Goma nelle mani dei ribelli dell’M23. L’emiciclo ha approvato a grande maggioranza una risoluzione sull’escalation nella regione proposta da The Left, S&D, Renew, Ppe, Verdi/Ale e Ecr. In questo caso l’Ue «dovrebbe sfruttare la grande esperienza delle proprie diplomazie e la profonda conoscenza del continente africano per sviluppare rapporti di cooperazione e sviluppo che si pongano nei confronti dei Paesi emergenti in maniera paritaria», dice Della Valle.
«Aumentare gli aiuti, creare corridoi umanitari, considerare gli stupri di massa come arma di guerra e interrompere gli accordi con il Ruanda» è la strada da percorrere per Annunziata. Ma parlare di aiuti non basta più: «Il Piano Mattei può rappresentare un modello efficace per un partenariato nuovo rispettoso e reciprocamente vantaggioso con l’Africa», conclude Gambino difendendo l’operato del governo Meloni. «Serve però smettere di considerare il continente un semplice destinatario di aiuti, ma piuttosto un interlocutore strategico». Adesso, per l’Europa, sembra essere arrivato il momento di passare dalle parole ai fatti.