Esclusiva

Marzo 28 2025.
 
Ultimo aggiornamento: Aprile 3 2025
Centri per migranti in Albania, terra di nessuno

Un viaggio nelle strutture nate dall’accordo tra il governo italiano e il primo ministro Edi Rama. Gli edifici restano tutt’ora vuoti e inutilizzati

«Sembra la Fortezza Bastiani nel romanzo “Il Deserto dei Tartari”». Così Marco Calvetto, presidente nazionale dell’organizzazione umanitaria Ipsia Acli descrive il centro per migranti di Gjader, in Albania. Nel romanzo di Dino Buzzati, la roccaforte sorge ai limiti del deserto, immersa in una sorta di stregata immobilità, ed è l’ultimo avamposto dell’Impero. È lì che il tenente Drogo consuma la propria vita nella vana attesa del nemico invasore. «Ci sono tante persone specializzate: operatori sociali, infermieri e forze dell’ordine. Sono lì in attesa di qualcuno che non si sa quando arriverà» racconta Calvetto, che durante un incontro internazionale delle Acli ha avuto la possibilità di visitare la struttura.

Costruito dall’Italia, l’impianto è composto da tre blocchi principali: un centro di trattenimento con 880 posti, un centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) da 144 posti e un carcere da 20 posti. È una delle due strutture, l’altra è a Shengjin, nate dopo la firma del protocollo Albania a novembre 2023 tra la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il primo ministro albanese Edi Rama.

«Il centro di Gjader si trova all’interno di un’area molto vasta perché è un ex territorio dell’aviazione albanese. Un base militare che è stata completamente messa in sicurezza perché è a ridosso di una collina arida. Ci sono stati grandi lavori di consolidamento: la zona è in aperta campagna e intorno ci sono case e baracche sparse, dove le persone vanno a prendere l’acqua in pompe pubbliche», spiega il presidente. I due centri servivano per trasferire le persone migranti per le quali il governo italiano intende seguire la procedura di frontiera o di rimpatrio, che prevede un esame semplificato delle domande di asilo di chi arriva in Italia. Tuttavia, l’iter può essere applicato solo ai migranti che provengono da paesi definiti “sicuri”, cioè in cui non vengano negati i diritti fondamentali, o comunque non ci siano motivi di considerare a rischio l’incolumità delle persone che dovessero ritornarci.

Dall’apertura dei centri ad oggi, sono stati fatti due tentativi di trasferimento di circa 50 persone: il tribunale di Roma, però, non ha convalidato il trattenimento dei migranti in questi centri, non ritenendo i loro paesi di provenienza pienamente sicuri.

Ad oggi quindi, sia Gjader che Shengjin, sono vuoti e inutilizzati: «Quando arrivi vedi che è una cosa fatta bene, nel pieno rispetto di quelle che sono le normative. I bagni hanno le dimensioni adeguate, ci sono i presidi sanitari e di culto. Il personale scelto, inoltre, è assolutamente professionale e preparato».
Per Calvetto però questa visione è alterata, perché la struttura è ancora inutilizzata: «È tutto ancora imbellettato quindi la percezione adesso è che la struttura sia
decisamente dignitosi. Tuttavia in ogni container vivranno 4 persone e avranno un cortile di 50 mq, sotto il sole. Messa così diventa uno spazio restrittivo importante».

Lo scorso giugno, durante una visita nella capitale dell’Albania,Tirana, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni aveva ricordato che complessivamente i fondi assegnati per l’attuazione del protocollo ammontano a 670 milioni di euro per cinque anni, quindi 134 milioni di euro l’anno, che corrispondono al 7,5% delle spese connesse all’accoglienza dei migranti sul territorio nazionale.

Per il presidente di Ipsia Acli, i flussi sono assolutamente gestibili per paesi strutturati, come quelli europei: «I migranti presenti in Europa sono, in media, il 10% della popolazione europea. I numeri non sono così elevati da avere la necessità di creare sistemi come quelli del protocollo Albania. Abbiamo tanti problemi a livello internazionale ma sul contrastare l’immigrazione ci si mette sempre d’accordo. È un dato di fatto questo. In molti Paesi, i migranti vengono utilizzati come strumento su cui fare propaganda per vincere le elezioni».