Attenzione! Questo articolo è stato scritto più di un anno fa!
!
Esclusiva

Marzo 14 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Marzo 17 2020
Io, italo-taiwanese, vi racconto il virus tra Italia e Cina

L’emergenza Coronavirus non viene affrontata da tutti i Paesi allo stesso modo. V., neolaureato che ha trascorso gli ultimi sei mesi a Taiwan, ci racconta le differenze tra Italia e Cina

«I due climi in cui ho vissuto sono del tutto diversi. A Taiwan c’è un rispetto e una calma che qui in Italia non riesco a vedere. Non so se sia per mancanza di sentimento di responsabilità, ma in Italia vedo una enorme discrepanza tra ciò che le autorità chiedono venga fatto e ciò che effettivamente viene fatto dal cittadino».

V., 22 anni, neolaureato in Ingegneria Gestionale, si è trasferito a Taiwan sei mesi fa per studiare cinese e per “esplorare l’altra sua metà culturale”. Nato infatti da padre italiano e madre taiwanese, ha sempre voluto conoscere e approfondire entrambe le sue origini. Oggi questo suo mix di culture gli ha permesso di osservare da vicino come l’Italia e la Cina stiano affrontando il Coronavirus. In una parola: diversamente.

Afferma di aver iniziato a notare i primi nervosismi a Taiwan a partire dal nuovo anno cinese, a metà febbraio, «quando mia zia è tornata da Hong Kong e mi ha dato la mia prima mascherina» ci dice. «Rendersi conto di quanto sia più difficile respirare con quella addosso ti fa realizzare la pesantezza della situazione, anche perché in Europa non siamo abituati a portarla».

In diversi Paesi asiatici, come Corea, Giappone e Cina le mascherine sono portate da sempre, non solo in situazioni di emergenza. Soprattutto, le si usa per rispetto verso gli altri e non per evitare di ammalarsi. Un giorno, trovandosi nella metropolitana con un lieve raffreddore, una signora a lui sconosciuta gli ha offerto una mascherina, “perché è norma e usanza nei paesi asiatici proteggere gli altri dai batteri che circolano”.

La febbre, a Taiwan, veniva misurata all’ingresso di qualsiasi luogo e vi era l’obbligo di farsi spruzzare dell’alcol sulle mani per igienizzarle. Ovunque, in metropolitana, sui social, per strada attraverso la distribuzione di volantini, si invitavano le persone a lavarsi molto spesso le mani.

«Nessuno la viveva con ansia, perché queste normative venivano rispettate» ci dice, «la cosa che più mi ha colpito è l’ordine con cui è stato affrontato il Coronavirus». Basti pensare che il governo, per evitare code e resse, ha stabilito delle regole di turnazione per l’acquisto delle mascherine, secondo cui tutti coloro nati negli anni pari possono andare a comprarle di lunedì, mercoledì venerdì. Il martedì, giovedì e sabato tocca invece a quelli nati negli anni dispari. La domenica a tutti. In una settimana ogni individuo può comprare al massimo due mascherine e può rappresentare sotto delega al massimo un solo altro individuo. «Le file erano perfettamente ordinate. Su qualunque app era mostrato il numero di mascherine rimanenti in una determinata farmacia» afferma V. Il governo, inoltre, ha disposto un piano economico anche per aumentare la produzione di mascherine.

«A Taiwan e nel resto dei paesi asiatici c’è una forte collaborazione tra il cittadino e l’autorità. Anche nel paesino più sperduto il clima che si respirava era di calma e rispetto».

Arrivato a Roma pochi giorni prima che l’Italia intera venisse dichiarata “zona rossa”, V. racconta che, appena atterrato all’aeroporto di Fiumicino, la situazione era allarmante. «Le persone si accalcavano le une sulle altre pur di passare velocemente. Nessuno indossava la mascherina, anzi qualcuno se la toglieva. In Italia vivo questa situazione più pesantemente. A me fa ridere come molte persone abbiano accusato i giovani di aver continuato ad andare nei locali e di non aver rispettato le normative, e poi nel momento in cui l’Italia è stata dichiarata “zona rossa” queste stesse persone siano andate a svaligiare i supermercati non rispettando quelle stesse norme di cui si facevano portavoce. Non voglio condannare l’Italia, ma l’episodio di fuga delle persone alla stazione di Milano ritengo che sia vergognoso. Un minimo di responsabilità nel momento in cui abiti in una zona a rischio devi averla, e se decidi di spostarti quantomeno fallo senza mettere a rischio gli altri. Non capisco il perché di questi comportamenti, capisco il nervosismo e la tensione, però questo clima così apocalittico secondo me è controproducente».

Dal confronto con la cultura asiatica noi italiani dovremmo imparare. Siamo un popolo forte, che ha attraversato molti momenti di difficoltà. Forse questa emergenza in particolare può spaventarci, poiché ha sconvolto la nostra vita quotidiana e le nostre abitudini, ma tutto può essere uno spunto per migliorarci. A volte, per ripartire più forti e fare dei passi avanti, occorre prima fare un passo indietro.

Da L’origine della disuguaglianza di Jean Jacques Rousseau:

“Se avessi dovuto scegliere il luogo della mia nascita avrei scelto una società la cui grandezza fosse contenuta entro i limiti delle facoltà umane, cioè della possibilità di governarla bene. Uno Stato in cui gli individui si conoscessero fra di loro, in modo che né le manovre oscure del vizio né la modestia della virtù potesse sottrarsi agli sguardi ed al giudizio del pubblico, e in cui la abitudine di volersi e di conoscersi facesse sì che l’amor di patria fosse piuttosto l’amor per i cittadini che l’amore per la terra”