L’aria è ferma, eppure le celle sono aperte, vuote. La torre del carcere si estende coi suoi edifici in tutte le direzioni, ma le mura li bloccano. Siamo dentro, agogniamo il fuori. “Ariaferma” è una narrazione racchiusa nello spazio soffocante di un carcere che vibra costantemente verso l’esterno: una tensione centrifuga. In questo luogo si muovono dodici detenuti in attesa di un trasferimento e un gruppo di agenti addetti al controllo: con gran parte degli edifici ormai chiusi, i carcerati sono rinchiusi in celle confinanti una sala circolare. Più storie si intrecciano alla ricerca dell’umanità che unisce i rappresentanti dell’ordine manicheo di quei luoghi, dove o stai da una parte, o stai dall’altra. Un sistema che comincia ad incrinarsi nel dialogo che si avvia tra un detenuto e un ispettore, rispettivamente Silvio Orlando (Lagioia) e Toni Servillo (Gargiulo), entrambi ad una sfida attoriale che li costringe «fuori i loro soliti ruoli».
«Io penso che l’atto di chiudere qualcuno in gabbia è un atto violento: su questo il film vuole portare ad una discussione» dice Di Costanzo. Il regista ha visitato diverse carceri, parlato con direttori, assistenti, psicologi: «tutte le storie sono ispirate a persone vere, ad episodi di umanità, amicizia, fiducia. Anche il titolo: l’aria è ferma era una delle scritte che ho letto in una cella». La continua alternanza tra coralità e singolo, tra bene e male, tra colpa e punizione, emerge nel corso di “Ariaferma” come un equilibrio che si deve mantenere sempre sospeso, proprio perché una risposta non ce l’ha: «non mi interessa il male, è difficile filmarlo e si rischia di giustificarlo. Più che cercare un senso nelle cose, ho cercato di essere più libero possibile e fare un film più di sentimento che di ragione».
Abituati a vedere solo corpi, tant’è che la stessa musica che accompagna il film è carne (voci e body percussion), gli spettatori sono costretti a interrogarsi su scelte che riguardano anima e umanità dentro gli stretti spazi di un carcere-purgatorio. «Ho sempre fatto film su figure a contatto con le parti più complicate della società. Queste persone sono come dei punti di osservazione, perché stanno tra il dentro e il fuori. Seguono il bisogno, perciò devono uscire dal ruolo e dalla legge per mettersi in discussione e sono dei grandi sperimentatori di umanità. Sono costretti a far agire il libero arbitrio». Delle vite di quei detenuti e di quei poliziotti in “Ariaferma” non sappiamo nulla: siamo costretti a giudicarli nello spazio dove tutti siamo uguali. «Sa ispettore, ho visto in un documentario che diceva che non è vero che tutte le formiche in una colonia lavorano, anzi, ce ne sono alcune che non fanno proprio niente», dice ad un certo punto Lagioia a Gargiulo. «Ispettò, se foste formica, quale vorreste essere, quella che non fa niente, o quella che lavora?» Gargiulo non risponde. La domanda, l’ennesima, è per noi.
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