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Esclusiva

Gennaio 14 2022
Il bambino nascosto tra la legge e l’amore

Roberto Andò, insieme al giovane attore Giuseppe Pirozzi, presenta il suo ultimo film alla stampa estera del Premio Globo d’oro. Una storia di scelte inconciliabili, come quella di Antigone e Creonte

Il tumulto di note della Tempesta di Beethoven risuona nella casa di Gabriele Santoro (Silvio Orlando), già presagio di qualcosa che sta per sconvolgere per sempre la vita del protagonista.

Ciro (Giuseppe Pirozzi), il ragazzino del piano di sopra, braccato dalla famiglia e dalla malavita, si rifugia infatti di nascosto in casa sua. A Gabriele resta la scelta di salvarlo o consegnarlo ai camorristi e salvare sé stesso.

Così inizia Il bambino nascosto, nuovo film di Roberto Andò tratto dal suo omonimo romanzo. Un racconto strutturato dall’interno, quello della casa in cui avviene gran parte della vicenda ma anche quello psicologico, emotivo e morale del protagonista. L’appartamento di Gabriele è la prigione di «un uomo che si è sottratto alla vita, spiandola da dietro i vetri delle finestre» secondo il regista. «Il bambino che gli entra in casa lo mette davanti alla realtà del suo quartiere e dei suoi vicini, che non ha mai voluto vedere».

Sullo sfondo rimane una Napoli «crepuscolare e segreta», un labirinto di palazzi antichi e scottati dal sole, diversa dalle rappresentazioni più comuni. «Non mi interessava visualizzare il crimine nei suoi aspetti eclatanti, ma tutto quello che sta dietro. Mi piaceva vedere il carattere di questa città attraverso un interno, non spiattellata davanti. Non il crimine in azione, ma prima e dopo: i segni di Napoli, i suoi umori».

Per mostrare senza spiattellare serve prima di tutto la «grande forza degli attori»: Orlando che con un solo sguardo riesce a comunicare i pensieri di Gabriele, e Pirozzi, un talento naturale, capace di «dare una profondità particolare a Ciro, qualcosa di vero».

Al tempo stesso serve un grande lavoro di sottrazione sulla sceneggiatura. «Non ho scritto il romanzo pensando al film. Poi mi sono reso conto che il cinema poteva raccontare altro e permettermi di scoprire strade nuove. Il romanzo si conclude con il sacrificio del professore che salva il bambino ma non sé stesso. Qui mi sembrava importante dare spazio a una possibilità. Mi piaceva che questa storia non fosse definita».

E infatti nel finale ritorna anche il subbuglio emotivo della Tempesta di Beethoven che, usando l’ulteriore linguaggio della musica, dà una risonanza ancora diversa al tema centrale della sospensione. Il destino di Gabriele e Ciro rimane così incompiuto.

La loro fuga, agli occhi di una Legge astratta, che non rappresenta in questo caso la giustizia, è in realtà un rapimento. Una scelta estrema, dettata dal bisogno reciproco di salvezza. È di questo che si fa anche espressione Roberto Herlitzka nella sua unica scena nel ruolo del padre di Gabriele. A lui è affidato il riferimento cruciale del film, quello al conflitto irrisolvibile dell’Antigone di Sofocle, condensato in una sola battuta: «La vita è piena di zone d’ombra. Forse la cosa ti scandalizzerà, ma io oggi, dovessi scegliere tra la legge e l’amore, sceglierei l’amore».

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