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Esclusiva

Gennaio 20 2022.
 
Ultimo aggiornamento: Gennaio 21 2022
La pandemia è un meteorite per lo spettacolo italiano

Il covid ha aggravato la situazione già precaria delle attività artistiche in Italia e gli aiuti dello Stato non sono sufficienti.

«In una condizione precaria come quella di noi attori, è successo ciò che era prevedibile: nel momento in cui arriva un meteorite ti trovi impreparato». Lo sconforto nelle parole di Gabriele Linari, attore e regista romano, accompagna l’amara presa di coscienza: «nel periodo di lockdown sono riuscito a galleggiare in qualche modo. Lo Stato aveva deciso di fermare tutto e cercava di provvedere alle mancanze: adesso invece i teatri sono aperti e potrebbero avere il pubblico, ma di fatto ci sono i contagi, si sta al chiuso, c’è paura». Linari da trent’anni lavora a Roma nell’ambito del cosiddetto teatro off: produzioni realizzate al di fuori dai circuiti istituzionali, generalmente destinate a piccole platee e d’indirizzo sperimentale. Una fetta di teatri che, viaggiando solo sugli incassi e sul lavoro sul territorio, si trova ora in grossissime difficoltà: «sono guai seri, soprattutto considerando che il teatro è già da anni in fortissimo calo di pubblico. In più, noi siamo stati sempre abituati a progettare, ma adesso basta un niente e si ferma tutto: non possiamo sapere cosa accadrà da qui a marzo».

La pandemia è un meteorite per lo spettacolo italiano
Il teatro dell’orologio di Roma, chiuso dal 2017

Condivisa tra gli artisti è la sensazione che la pandemia per lo spettacolo italiano abbia funzionato come uno scossone che ha più le fattezze del vaso di pandora che di un salvifico graal. Da una parte in Italia c’è da anni un problema di lettura dello Stato del tipo di attività riconosciute che vanno sotto il nome di spettacolo: «in parte è colpa nostra, poiché nel corso degli anni abbiamo sviluppato una serie di attività a cui non abbiamo pensato di dare un nome. Ad esempio, io faccio laboratori a progetto nelle scuole ma come faccio a dimostrare allo Stato che questo lavoro, anche se lo faccio da vent’anni, è saltato per il coronavirus?». Il lavoro dei teatri e degli attori si regge su una serie di economie, attività collaterali di formazione e laboratori che sono state tutte colpite dalla pandemia. Ma se queste non sono riconosciute dallo Stato come parte del settore diventa difficile progettare aiuti repentini e mirati: «gli ultimi sostegni prevedevano parametri talmente ristretti che era difficile che tutte le attività potessero rientrarci», dice Lucia Nardi di Facciamo la conta, che insieme ad altre associazioni di tutta Italia negli ultimi mesi ha espresso parte delle difficoltà del settore al ministero della Cultura, da ultimo presentando una richiesta di sostegni per l’annullamento degli eventi che il Decreto Natale del 23 dicembre ha imposto fino al 31 gennaio.

La situazione non è più semplice per le realtà della musica dal vivo, anzi. «La realtà dei club musicali, un altro sottoinsieme dello spettacolo, non è assolutamente riconosciuta», spiega Carlo Parodi, fondatore e promoter musicale del celebre club di musica live torinese Hiroshima Mon Amour: «in Italia la filiera della musica popolare contemporanea vive un paradosso: sei al mondo come fatturato, quindi produci dal punto di vista economico. Ma allo stesso tempo sei sconosciuto e non regolamentato». Poi racconta le difficoltà delle ultime settimane: «da fine dicembre si brancola nel buio. La pianificazione è una parte essenziale del nostro settore: per organizzare le tournée si chiamano gli artisti, i fonici, si devono fare le prove. A dicembre eravamo appena partiti e siamo stati costretti a rimandare i concerti. Ma se l’attuale situazione è un dribbling tra zona bianca, rossa e gialla con le sue conseguenze, anche se gli eventi sono interrotti solo fino al 31 gennaio, non abbiamo garanzia di come muoverci nelle prossime settimane». Parodi pone anche il problema della fidelizzazione del pubblico: «i concerti annullati e spostati generano un problema di fiducia nelle persone, che continuano a porsi delle limitazioni nell’uscire e andare a teatro e ai concerti. Nel frattempo queste stesse persone non hanno coltivato, non hanno vissuto una crescita culturale. E in più ci domandiamo: sono riuscito a farli diventare i miei clienti?».

La pandemia è un meteorite per lo spettacolo italiano
Il teatro Eliseo di Roma, chiuso nel 2021

Lo spettacolo in Italia sta vivendo una fase preoccupante e se ne parla troppo poco o affatto: l’ultimo rapporto dell’Istat evidenza un crollo di 70 mila unità nel settore, pari al 21%. Racconta Parodi: «quando ci siamo ritrovati a ripartire a settembre, ho dovuto riciclare le persone. Molte nel frattempo avevano abbandonato il lavoro che avevano sempre fatto. Io il 3 dicembre avevo bisogno di facchini, ma non li trovavo in nessuna cooperativa. Ho dovuto chiedere al figlio di un’amica». L’emorragia artistica è evidente: «I teatri chiudono, mentre attori e pubblico perdono la passione. La questione esplosa con la pandemia, più che il sostegno economico, è che il nostro settore non è tutelato in nessun modo. Noi viviamo in una situazione di precariato del precariato: è quasi impossibile per noi avere una rappresentanza giuridica. Sono state fatte lotte in questo senso, ma gli attori vivono di compromessi, accettando anche di non essere pagati in cambio di visibilità. Ci siamo sclerotizzati in una situazione senza garanzie», spiega Linari. Da due anni l’attore si è avvicinato al doppiaggio, dove almeno il guadagno è più sicuro. «È drammatico che non si possa più fare quello che ci piace, ma ad un certo punto cominci a capire, a quarantasei anni e con due figli, che non puoi più permetterti di vivere solo di passione. Siamo chiamati ad atti di vigliaccheria, non contro qualcuno ma contro noi stessi. Ad abbandonare un pochino la lotta perché se no non sopravvivi».