«Una mia amica di famiglia mi aveva detto che in Italia aveva una cugina che cercava qualcuno che la aiutasse nel suo lavoro come parrucchiera». Glory, nome di fantasia che utilizza nel suo lavoro, è partita dalla Nigeria quando aveva 21 anni. Le avevano parlato dell’Europa come di un mondo meraviglioso, e così ha deciso di partire, una notte, senza dire nulla a nessuno.
«Sono madre di due bambini, che ora vivono con i miei genitori. Non ho nessun altro su cui contare, ho pensato che venire in Italia fosse il modo migliore per salvare i miei figli». È stata proprio questa signora il tramite di Glory che, mettendola direttamente in contatto con gli smugglers – trafficanti di uomini – l’ha fatta arrivare in Libia e da lì in Italia.
«Le storie che vengono raccontate sulla Libia non rispecchiano la violenza e la disperazione che siamo stati costretti a vivere, soprattutto noi donne. Sono stata un anno e quattro mesi in una prigione libica prima di riuscire ad imbarcarmi. Sono rimasta incinta e ho avuto tre aborti, l’ultimo mentre ero sul gommone che mi ha portato in Italia».
Arrivata in Sicilia, Glory è riuscita a scappare immediatamente, prima che le potessero prendere le impronte digitali e identificarla. Glory non esiste, almeno non per lo stato italiano.
Una volta scappata è stata condotta a Bologna, dopo un viaggio in pullman, insieme ad altre ragazze. Ad aspettarla però non c’era una parrucchiera, ma una Madam, una donna più anziana che ha il compito di controllare queste giovani donne e i loro guadagni. La strada era ciò che l’attendeva. La strada è ciò che continuerà ad attenderla fino a che non avrà saldato il suo debito per il viaggio, che si aggira attorno a 20.000 euro.
Tutte le sere lei e le altre ragazze che vivono con lei e che sono controllate dalla stessa Madam, vanno in strada e ci rimangono per tutta la notte, finché non parte il primo treno per poter tornare a casa. Si fanno compagnia, sono in tre, ascoltano musica e videochiamano i loro familiari. Glory, come tutte le altre, non ha alternativa.
Lei non esiste per lo stato italiano, e per lo stato italiano non esiste neanche il reato di prostituzione. Il ricatto a cui sono sottoposte ogni giorno si riversa sulle loro famiglie a casa, e pesa sulle loro spalle forzandosi a ridursi in schiavitù all’interno di un sistema che non le tutela e non ha i mezzi per farlo.
Dietro a questa forma di costrizione ci sono evidenti segni di violenza strutturale. La religione vudù è un elemento che, anche se combinato con la cristianità, in Nigeria ha ancora un valore credenziale molto forte. Infatti, molte delle ragazze prima di partire vengono sottoposte a un rito vudù nel quale promettono di estinguere il loro debito, a discapito della salute della propria famiglia.
«Io ho provato a scappare ben due volte. La prima volta mio padre ha perso il lavoro, la seconda mia madre si è ammalata gravemente. È stata tutta colpa mia, ho fatto un giuramento e ora devo ripagare il mio debito» ha raccontato Gracious. Ha 20 anni, e i sogni di una qualunque sua coetanea: crescere in un mondo libero, che le permetta di inseguire le sue passioni.
«Ho dodici bruciature di sigaretta sulla schiena. A un uomo con cui sono stata una volta eccitava spegnermele addosso. Mentre mi bruciava la pelle guardavo quei seggiolini che aveva in macchina e avevo paura per i suoi figli». La considerazione della prostituzione delle ragazze nigeriane è veramente molto bassa e il livello di violenza a cui sono sottoposte dai clienti è altissima. Per non parlare di quanto poco vengano pagate per le loro prestazioni rispetto ad altre etnie di prostitute. «In un’intera notte se si fermano molti clienti posso arrivare al massimo a 130 euro».
La tratta a scopo sessuale delle ragazze nigeriane inizia in uno stato nel centro d’Africa e finisce a migliaia di chilometri di distanza, in Italia. Si tratta di una rete ben organizzata, che non comprende soltanto una componente nigeriana. Fondamentale per la crescita di questa organizzazione criminale è il fatto che in Italia non sia un reato prostituirsi, né essere clienti di chi si prostituisce.
Illegali sono lo sfruttamento e il favoreggiamento della prostituzione o l’assoggettamento in una condizione di schiavitù. Sta proprio qui il punto: chi può essere in grado di dimostrare di prostituirsi sotto ricatto, vivendo in una condizione di assoggettamento e schiavitù? Le ragazze che si prostituiscono, o meglio, che sono costrette a farlo, spesso non hanno neanche i mezzi per riconoscere la propria situazione, figuriamoci essere in grado di denunciarla. Perché è solo con la denuncia diretta di una ragazza, ovviamente sostenuta da prove evidenti, che il sistema può riconoscere un reato.
Poche di loro sono in grado di dire che sono obbligate a farlo, anche perché il tipo di costrizione che subiscono ha radici molto più profonde. Nascono, infatti, dal contesto culturale in cui sono cresciute e arrivano ad un elemento molto più pragmatico: un debito da saldare. Questo debito da estinguere, si aggira sempre intorno ai 20/30.000 euro, ed è estremamente sproporzionato rispetto all’effettivo costo di un viaggio dalla Nigeria fino in Italia, che solitamente può arrivare a costare al massimo poco più della metà di quanto richiesto a queste ragazze. La situazione delle nigeriane costrette a battere si inserisce in un contesto criminale molto più grande di quello che si pensava fino a pochi anni fa.
Le difficoltà che queste ragazze incontrano per poter uscire da questa situazione sono tante e molte partono dall’organizzazione del sistema creato per aiutarle. Incontri con assistenti sociali che, volti ad assicurarsi della veridicità dei fatti, assumono atteggiamenti scontrosi e diffidenti, facendole spesso allontanare immediatamente. Se si dovesse riuscire a passare questo step, con grande determinazione e forza, bisognerebbe arrivare all’isolamento totale: infatti le case per le donne sono pensate per far sì che queste ragazze non possano essere più trovate. Insomma, nessun collegamento con il mondo esterno, nessuna possibilità di mantenere rapporti sociali e soprattutto di sentirsi con i propri familiari.
Inserimento di un reato per chi usufruisce della prostituzione, maggiori tutele sui minori, ricostituzione delle cosiddette case chiuse, in modo da poter controllare meglio le condizioni del lavoro. Sono stati molti in questi anni i tentativi di frenare questa tratta degli esseri umani a scopo sessuale.
Ma di passi avanti non se ne sono fatti, soprattutto dalla chiusura delle case chiuse nel ’58 che aveva proprio questa pretesa. «Con l’abolizione di ogni forma di regolamentazione si è cercato di bilanciare l’autonomia, la libera determinazione dei singoli, sradicando quella che era una dimensione di sfruttamento della prostituzione regolamentata. Il fenomeno non è sparito, anzi si è evoluto. In particolare, durante gli anni ‘90 sono stati scoperchiati sistemi di forte sfruttamento fino alla riduzione in schiavitù» ha affermato Ilaria Boiano, avvocata dell’associazione Diversamente donna.
Oggi siamo di fronte a una vera e propria tratta di esseri umani a scopo sessuale, ma non abbiamo i mezzi giuridici per riconoscerla, tanto meno per prevenirla e bloccarla. «Mi mancano da saldare 13 mila euro, forse tra sette anni potrò smettere di prostituirmi, ma non so se lo farò. Io in questo paese non esisto, ho troppa paura di essere rimandata a casa mia. Avevo un sogno, ma ormai so che i sogni non esistono per le persone come me».