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Esclusiva

Marzo 1 2022
«Sto piegando l’uniforme» Claudio è pronto a unirsi alle brigate internazionali

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky chiede il sostegno di combattenti da tutto il mondo. Un giovane infermiere italiano risponde all’appello.

«Si raccomanda, se disponibile, di portare con sé abbigliamento militare o suoi elementi, equipaggiamento, elmo, giubbotti antiproiettile e altro». Così recita il passaggio 5 del manuale d’istruzioni per arruolarsi nelle brigate internazionali in difesa dell’Ucraina, per chiunque dall’Italia e dal mondo vorrà rispondere all’appello di domenica scorsa del presidente Volodymyr Zelensky. Un’iniziativa che ricorda quella delle unità militari che nel 1936 partirono per la Spagna a sostegno delle forze repubblicane schierate contro il regime franchista.

La procedura di arruolamento è aperta: sul profilo Facebook dell’ambasciata ucraina a Roma un post annuncia i sette passi per unirsi alle brigate. Mentre il sito della rappresentanza diplomatica è oscurato «per ragioni di sicurezza informatica», spiega la vice ambasciatrice ucraina in Italia Oksana Amdzhadin, aggiungendo che «tutti i siti delle ambasciate ucraine sono stati spenti su ordine del governo, per proteggersi da nuovi attacchi informatici.»

Gli addetti militari dell’ambasciata confermano numerose chiamate da parte di cittadini italiani, ma i problemi non mancano. «Molti italiani non hanno il passaporto per entrare in territorio ucraino», dice a Zeta il colonnello Skab Volodymyr, «in più preferiamo volontari che abbiano esperienza e che non abbiano precedenti penali, per evitare il dilagare del crimine sul territorio ucraino.»

L’infermiere italiano che vuole combattere

Claudio, trentuno anni, studente di scienze infermieristiche alla Sapienza di Roma e operatore sociosanitario, è tra i primi a commentare il post dell’ambasciata ucraina in Italia. Scrive in italiano, traduce in inglese. Ha appena finito il suo turno nella clinica dove lavora. Sta per piegare la sua divisa da infermiere. Lo aspetta una corsa lungo il raccordo, una birra con gli amici, forse una partita di calcetto. E poi un’altra divisa da piegare. E un giubbotto antiproiettile. E un elmetto. Attenderà l’esito dei negoziati in corso nella località segreta al confine con la Bielorussia. Se non sarà pace raggiungerà la Polonia, poi il confine, poi l’Ucraina.

Quella di Claudio, nato in Messico e adottato da una famiglia italiana, è una vita «abbastanza normale», nella quale lo scoppio della guerra in Ucraina ha aperto una voragine. «Io sono un pacifista, ma è per questo che voglio arruolarmi, perché ognuno di noi ha diritto di vivere in pace. Lo sento come un dovere.» Quando ha visto in televisione le bombe colpire Cerkasy ha ripensato alla sua ragazza di un tempo. «Lei è di lì, sotto quel bombardamento c’è la sua famiglia.»

«Ho tanti conoscenti in Ucraina, e anche una collega polacca: mi dice che in Polonia sono davvero agitati perché assistono a qualcosa che presto potrebbe accadere anche lì». Claudio è disposto a rinunciare al lavoro, alla famiglia, alla sua fidanzata per andare a combattere. «Se mi dessero l’opportunità, partirei in questo momento. Al di là dei legami familiari e affettivi, c’è qualcosa di più grande che mi spinge a intraprendere questa strada.» 

Dalle sue parole traspaiono dovere e consapevolezza, anche della paura. «Io ne ho abbastanza, laggiù alla fine si muore. Ma sento che non devo sottrarmi. Posso combattere. Voglio agire e fare la mia parte.» Anche se questo vorrà dire imbracciare le armi. Un’esperienza a cui aveva rinunciato quando era stato chiamato al servizio militare in Messico. «A quel tempo rifiutai, perché non ne sentivo la necessità. Ma adesso è diverso. Stavolta sono io che mi propongo.»

«Mi sento italiano, mi sento parte di una comunità europea. Avverto una connessione, un senso di responsabilità verso le persone e verso un paese intero, che vogliono essere liberi.» È consapevole che «sparare a una lattina» è diverso che colpire un essere umano, ma se dovesse, si dice pronto a farlo, pur avendo poca esperienza con le armi. «Giusto qualcosa con il fucile e la pistola: avevo uno zio che cacciava». Mentre lui no: Claudio è vegetariano. 

Mai avrebbe pensato di andare in guerra, fermo nel traffico della nostra capitale nell’ora in cui a Kiev risuonano le sirene. «Pensavo fosse una cosa abbastanza anacronistica. Nel 2022 una cosa del genere non dovrebbe nemmeno esistere. Dovremmo esserci evoluti, al punto di ripudiare la guerra, e invece…»

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