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Esclusiva

Marzo 23 2022
«La guerra tira fuori il marcio o l’eroismo delle persone»

Janine di Giovanni, una delle più note reporter di guerra al mondo, ha presentato il suo ultimo libro in un evento organizzato dall’American University of Rome

«Non sopporto i bulli e le ingiustizie». La voce di Janine di Giovanni è quella decisa di chi ha visto e raccontato gli orrori della guerra per oltre trent’anni. Dagli anni Novanta a oggi Di Giovanni, che è Senior Fellow al Jackson Institute for Global Affairs dell’università di Yale, ha seguito i maggiori conflitti: dalla prima Intifada in Palestina nei primi anni Novanta, all’assedio di Sarajevo, fino ad arrivare al genocidio in Ruanda, alla guerra in Iraq, passando per le primavere arabe e il conflitto in Siria. È  stata per molti anni corrispondente per il Times ed ha scritto anche per il New York Times, Vanity Fair, e il The Guardian.

Il 21 marzo la reporter ha presentato al Centro Studi americani il suo nuovo libro “The Vanishing: The Twilight of Christianity in the Middle East”, in cui racconta della difficile situazione e della possibile estinzione delle comunità di cristiani in Siria, Egitto, Iraq e Palestina, un argomento che aveva già seguito in passato. «I cristiani iracheni e siriani non volevano essere cacciati dalla terra dove vivevano dall’inizio dei tempi. Non avevano intenzione di lasciarsi andare, rischiando di scomparire giorno dopo giorno. L’ho trovato meraviglioso, volevo scrivere un libro su di loro prima che sparissero».  

La corrispondente racconta di quando non esistevano gli smartphone e si trovava a dettare i suoi pezzi parlando al telefono con la redazione, mentre una fila di persone aspettava dietro di lei per poter fare lo stesso. «Il “citizen journalism” ha cambiato tutto nell’informazione di guerra, così il conflitto e i crimini di guerra possono essere documentati da chiunque sia in possesso di un telefono».

«L’obiettivo è quello di riuscire a documentare questi orrori». Le piace infatti descriversi come una «reporter dei diritti umani». Di Giovanni si è occupata anche di violenze sessuali perpetrate nei confronti delle giovani donne nelle zone di conflitto. «Venivano da me credendo che fossi loro mamma, o una sorella. Parlavano di stupro apertamente, perché ero una donna e potevo capirle. Forse non avrebbero fatto lo stesso con un uomo».

La guerra in Ucraina

La mente corre al coraggio dei reporter che oggi sono sul campo a raccontare il conflitto in Ucraina. «La cosa che mi ha più sconvolto di questa guerra è che molti hanno imbracciato le armi, anche coloro che non lo avevano mai fatto, come i giocatori di tennis della squadra nazionale», continua la reporter.

«Putin sta facendo esattamente ciò che faceva in Siria». Anche ad Aleppo venivano colpiti obiettivi civili, gli ospedali erano un bersaglio. «I dottori in guerra sono eroi, se uccidi un dottore metti a rischio le 200 persone di cui avrebbe potuto prendersi cura», continua raccontando dei medici e del loro coraggio, che ha visto in tutti i conflitti di cui si è trovata ad essere testimone.

Non bisogna però dimenticarsi che ci sono altre guerre in corso nel mondo, nonostante l’Ucraina stia monopolizzando la nostra attenzione. «La cosa più potente in un conflitto è riuscire a guardare un civile negli occhi e dirgli “non sei solo”».

La giornalista racconta di non aver mai voluto essere “embedded”, cioè assegnata a unità militari. «Durante la prima parte della guerra in Iraq ho lavorato al fianco dell’esercito americano, ho odiato raccontare il conflitto così. Non riuscivo ad andare nelle comunità e parlare con il capo villaggio o le ragazze comuni».

Per la reporter non è importante raccontare gli aspetti politici del conflitto «Non mi interessa cosa i potenti hanno da dire, preferisco visitare le comunità e parlare con la gente comune. Mi piace partire dalle storie piccole», continua la corrispondente. Le vicende individuali sono importanti tanto quanto il racconto dell’avanzata degli eserciti o le riflessioni geopolitiche, perché aiutano a ricostruire il contesto più ampio in cui si svolge l’offensiva. «Si parte dalle cose minuscole per raccontare quelle grandi», conclude.