Nel 2017, all’indomani delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti, Twitter ha consegnato allo US Intelligence Committee, un ramo del congresso americano, una lista di account che disseminavano disinformazione. La piattaforma social riteneva che dietro questi falsi utenti si celasse l’IRA, l’internet Research Agency, un’agenzia russa istituita per la creazione di profili falsi (troll), che diffondono la propaganda di Mosca. La ricerca su questi troll, “tra le cause della vittoria di Donald Trump alle elezioni del 2016”, è stata affidata al Prof. Darren Linvill e al Prof. Patrick Warren della Clemson University.
“Twitter era risalito solo agli account senza condividere i loro dati. Con alcuni strumenti che abbiamo alla Clemson Media Forensics Hub, siamo riusciti ad accedervi e a risalire a milioni di tweet condivisi da questi profili fake. Nel 2020 abbiamo capito come per questi profili non fosse importante minacciare l’Occidente, bensì tenere sotto controllo l’opinione pubblica russa” ha raccontato il professor Linvill.
Le modalità con cui questi profili interagiscono varia da piattaforma a piattaforma. “Tik Tok è più appropriato per messaggi di natura militare essendo video centrico. Instagram si connota più per l’immagine e quindi il pathos. Su Twitter, invece, puntano sull’autoironia”.
Linvill e Warren hanno iniziato a collaborare con Pro Publica, testata di giornalismo investigativo statunitense, per la quale hanno scritto due articoli che evidenziano il legame tra gli agenti di disinformazione durante questa guerra e quelli del 2016. In un altro reportage hanno invece evidenziato come il Cremlino abbia creato una task force di finti fact-checkers per smentire la disinformazione ucraina. Tuttavia, è impossibile sapere se i video debunkati dal falso fact-checking russo siano veramente circolati sui media ucraini. L’obbiettivo è quello di instillare dubbi negli utenti di lingua russa mostrando, per esempio, video di veicoli militari distrutti o di presunti attacchi aerei.
Nella guerra d’informazione “i social network rappresentano per Putin solo un altro strumento da inserire nella cassetta degli attrezzi che serve per mantenere il potere. La disinformazione sulle piattaforme online è economica ed efficace” prosegue Linvill.
Centrale nel lavoro che il Clemson Media Forensics Hub sta portando avanti è riuscire a capire quali atteggiamenti mostrano questi falsi utenti. “Tra i comportamenti di questi troll ci sono anche atteggiamenti fatti per accattivare e blandire l’opinione pubblica. Uno di questi account, ad esempio, dopo lo scoppio della guerra ha iniziato a postare foto di una tipica festività sovietica nella quale si cucinano pancake per un’intera settimana. Così si acquisiscono follower e credibilità”.
Di recente, inoltre, si è visto come l’attenzione di questi profili fake non sia monolitica ma si evolva con il passare del tempo. Come in Italia, quando i gruppi si spostano dalla propaganda no-vax alle proteste contro le restrizioni e fino alla guerra, anche i troll russi seguono l’attualità. “I troll devono essere ‘topical, ovvero strettamente connessi all’attualità. Questo per aumentare il numero di follower ma anche per mantenere una futura influenza su chi li segue”.