L’articolo intitolato«Bloomberg – La Nato sta per riformulare la clausola sulla guerra», pubblicato sul sito L’Antidiplomatico, sostiene che l’articolo intitolato NATO Struggles to Meet Spending Goals as It Weighs Higher Target, pubblicato sul sito Bloomberg, affermi che nel corso del vertice di Bruxelles tra i Ministri della Difesa della Nato del 14 e 15 febbraio 2023 sarebbe emersa una duplice volontà: «aumentare le spese militari» dei Paesi Nato nella misura minima del 2% del Pil a scapito delle pensioni della «povera gente» e «riformulare l’articolo sulla mutua difesa», cioè l’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico, «ampliandone in maniera indefinita i termini».
Debunking della notizia
Nella premessa iniziale, l’articolo de L’Antidiplomatico riporta un paragrafo dell’articolo di Bloomberg secondo cui, nel corso del meeting di Bruxelles, «i ministri della Difesa dovrebbero approvare un documento che prevede nuove linee-guida politiche per definire i requisiti per l’investimento degli alleati per prepararsi a una potenziale futura attività militare».
Nella prima parte, intitolata in maniera fuorviante «Aumentare le spese militari, diminuire le pensioni», L’Antidiplomatico riporta poi il successivo paragrafo dell’articolo di Bloomberg: «Il documento classificato» inizia, aggiungendo inoltre la dicitura «[cioè segreto ndr]» (invece assente nel testo originale), «serve a pianificare le modalità attraverso le quali la NATO prevede di impegnarsi in modo unitario in un conflitto cosiddetto ad alta intensità previsto dall’articolo 5, con gli alleati chiamati a difendersi vicendevolmente, ma anche nel caso di evento fuori registro, cioè non compreso nell’articolo 5».
Il testo non si riferisce, come insinuato dall’articolo de L’Antidiplomatico, alla riformulazione della clausola di mutua difesa ex articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico (che prevede che, qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri siano tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità all’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite) e all’ampliamento indefinito dei suoi termini «così che si potrebbe intraprendere una guerra su larga scala per eventi diversi dall’aggressione militare a un singolo Paese membro dell’Alleanza», tema che peraltro il sito di disinformazione ritiene «nascosto nell’articolo di Bloomberg» che «si dilunga su altro e meno importante» a causa del presunto timore di rendere noto lo «snaturamento dell’Alleanza».
Come spiegato da Rai News, invece, il testo si riferisce alle nuove linee guida per la pianificazione della difesa della Nato rese necessarie, come emerge anche dalle parole del Segretario Generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg, dalla consapevolezza di vivere «in un mondo più pericoloso, con il comportamento aggressivo della Russia, la persistente minaccia del terrorismo e le sfide poste dalla Cina».
Inoltre, L’Antidiplomatico omette il successivo paragrafo dell’articolo di Bloomberg che specifica i contenuti della richiesta, rivolta agli alleati Nato, di spostare i propri investimenti a favore delle capacità necessarie per la difesa collettiva, che includono forze più pesanti, difesa aerea e missilistica, modernizzazione digitale e uso integrato dei dati raccolti dalle forze militari.
Pertanto, è scorretto affermare che «la nuova formula sembra indicare che la Nato potrebbe entrare in guerra per una minaccia solo percepita», categoria nella quale secondo il sito di disinformazione rientrerebbe anche la «battaglia aerea contro dei palloncini» ingaggiata dall’America e giustificata come operazione necessaria alla sicurezza statunitense. L’Antidiplomatico fa qui riferimento all’abbattimento del pallone-spia cinese nei cieli statunitensi ordinato dal Presidente Joe Biden all’inizio di febbraio come forma di cautela contro il presunto monitoraggio della potenza asiatica sui siti militari americani.
Per rafforzare le argomentazioni proposte il sito di disinformazione, che come riportato da Open nel 2022 è stato definito dal report annuale di NewsGuard sul monitoraggio informatico delle fake news come «un sito di estrema sinistra che si occupa di notizie internazionali che ha pubblicato spesso contenuti falsi e ha dato spazio alla disinformazione russa», insinua anche teorie complottiste su possibili future «manipolazioni» ad opera degli Stati Uniti, come quelle che sarebbero già avvenute nei casi della guerra del Vietnam, «intrapresa dagli Usa dopo l’incidente del Tonchino, una bufala ormai acclarata», e della guerra del Golfo, «legittimata dalle inesistenti armi di distruzione di massa di Saddam». In entrambe le occasioni, infatti, i conflitti sarebbero scaturiti da «una minaccia percepita, nonché inventata, dal suo membro più autorevole (peraltro dominus dell’Alleanza atlantica». Pur essendo vero che entrambi gli episodi citati costituiscono esempi di disinformazione, la correlazione suggerita da L’Antidiplomatico tra essi e le presunte conseguenze manipolatorie della revisione della clausola di mutua difesa ex articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico (che, come verificato, non sussiste) risulta fuorviante.
L’Antidiplomatico prosegue con la richiesta ai Paesi europei di «investire di più nella difesa» e, nello specifico, di «investire il 2% del Pil, che peraltro, come ha detto il Segretario della Nato Jens Stoltenberg, “dovrebbe essere considerato un minimo, non un tetto” massimo». Con riguardo alla quantificazione delle spese militari per la difesa dei confini interni ed esterni dell’Alleanza l’obiettivo del 2% del Pil, concordato già in tempi di pace in occasione del summit di Galles del 2014 e concepito come raggiungibile entro un decennio, deve oggi essere, come dichiarato da Stoltenberg e riportato da Rai News, «il minimo e non il massimo» perché «rispetto al 2% indicato nel 2014 ora bisogna fare di più per rispondere alla sfide poste alla nostra sicurezza». Negli ultimi anni, infatti, «il trend è stato crescente e le spese sono aumentate di 50 miliardi di dollari» anche a causa dell’incremento della fabbricazione di armi e di munizioni per soddisfare il fabbisogno derivante dal sostegno all’Ucraina e della necessità di rifornimento delle scorte, esaurite dopo il massiccio invio di aiuti a Kiev. Come riportato da Agi il conflitto in Ucraina, che rappresenta una «guerra di logoramento», «necessita di più armi» e rende quindi la soglia del 2% non più sufficiente «per garantire la necessaria sicurezza contro il rischio di attacco diretto dalla Russia». Pertanto, il dato sarà rivisto al vertice di Vilnius atteso il prossimo luglio.
Finora alcune nazioni, come la Polonia, hanno pianificato una spesa militare di oltre il 4% del Pil, mentre altre, come l’Italia (che, come specificato da Milano Finanza, nel 2022 attestava una quota di spesa della difesa pari solo all’1,54%), faticano a conformarsi persino alle vecchie linee-guida. La rinnovata discussione sulla revisione degli investimenti nella difesa, innescata dall’invasione russa dell’Ucraina, ha comunque condotto all’elaborazione, in occasione del summit di Madrid dello scorso giugno, di un nuovo modello di forza basato sulla massima allerta di 300.000 truppe e sulla costruzione di brigate a rotazione per la difesa del fianco orientale.
L’articolo de L’Antidiplomatico afferma poi che l’articolo di Bloomberg spiegherebbe che «per rafforzare la Difesa, dovrebbero essere stornate in questo settore risorse finora indirizzate verso le “pensioni o altri capitoli di spesa similari”. Insomma, il riarmo andrebbe, com’è naturale, a nocumento della povera gente». In realtà, il testo dell’articolo originale spiega che c’è «una spinta per investire una parte maggiore di quella spesa» (e quindi, della sola spesa militare) «in capacità, rispetto alle pensioni o ad altre spese non materiali», e aggiunge che già nel 2014 gli alleati hanno fissato l’obiettivo di spendere almeno il 20% della spesa annuale per la difesa in nuove attrezzature e ricerca.
Infine, l’articolo de L’Antidiplomatico conclude ponendo l’accento sulla presunta natura “segreta” delle decisioni adottate dalla Nato nel summit di Bruxelles, invece note e divulgate da tutti i quotidiani internazionali, e si avvale dell’autorità rivestita da Bloomberg nel settore giornalistico per acclarare le argomentazioni proposte che, come già visto, risultano però inconsistenti.
Zeta, sito di informazione della Scuola Superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” – Luiss Guido Carli è un supplemento di Reporter Nuovo, testata giornalistica legalmente registrata presso il Tribunale di Roma (Reg. Tribunale di Roma n. 13/08 del 21 gennaio 2008), al cui interno è stata istituita un’unità Zeta Check con lo scopo di verificare i fatti, che pubblicherà regolarmente rapporti sull’accuratezza fattuale delle dichiarazioni di personaggi pubblici e istituzioni e affermazioni ampiamente diffuse in formato testo, visivo e di altro tipo, incentrate principalmente su dichiarazioni relative a questioni di interesse pubblico.
Il suo lavoro editoriale non è controllato dallo Stato, da un partito politico o da una figura politica. La testata non è destinataria di finanziamenti da fonti statali o politiche per svolgere giornalismo di servizio pubblico.
Leggi anche: No, le bollette non sono aumentate per le politiche green
Immagine generata da Midjourney – Open AI