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Esclusiva

Aprile 13 2023
La risposta allo streaming è il ritorno alla pellicola

Registi e case di produzione preferiscono l’estetica analogica al digitale per distinguersi sul mercato e attirare l’attenzione del pubblico

Immaginare il cinema senza celluloide, senza la grana analogica, i colori e la luce inconfondibile della pellicola, fino a un decennio fa era una prospettiva più che concreta, una rivoluzione estetica dettata da un errore di valutazione. A gennaio del 2012 Kodak dichiarava il fallimento per insolvenza: la più grande azienda produttrice di pellicola al mondo aveva scelto di non investire nel digitale perdendo così il primato in un settore in crescita. L’inizio del nuovo millennio segna infatti il successo dei grandi film di fantasia e CGI, da Harry Potter e Il Signore degli Anelli fino ai cinecomic che danno inizio al Marvel Cinematic Universe.

Pochi anni dopo, nel 2015, sono state le grandi case di produzione statunitensi a risollevare la Kodak attraverso il primo di diversi accordi commerciali per l’acquisto pluriennale di pellicole, voluto con forza da alcuni influenti registi a contratto con le major (Warner, Disney, NBCUniversal, Paramount e Sony) tra cui si ricorda soprattutto Christopher Nolan al tempo legato alla Warner Bros.

Le grandi produzioni non sono casuali. Oggi girare in pellicola significa investire un budget elevato sia nell’acquisto del materiale sia nella post-produzione e digitalizzazione delle copie, poiché le sale cinematografiche non proiettano più in analogico. Si tratta però di una dichiarazione di intenti oltre che di una scelta estetica, tanto che sono di solito gli autori più affermati a livello internazionale a preferire ancora l’uso della pellicola o, caso ancora più interessante, sono i giovani registi o ideatori di serie televisive che attraverso l’uso della celluloide provano a dare ai loro lavori il sottotesto di opere impegnate e autoriali.

È il caso della seconda stagione di Euphoria, ideata da Sam Levinson e girata su pellicola 35mm Ektachrome, uno dei formati a colori più usati nell’editoria e nella pubblicità, la cui produzione si è interrotta nel 2011 prima dell’annuncio del fallimento Kodak ed è ripresa solo a fine 2018. In pellicola è girata anche la serie più rilevante – per tecnica, scrittura e numero di premi – degli ultimi cinque anni, Succession di Jesse Armstrong.

L’unico luogo in cui tuttavia si apprezza per definizione la qualità integrale delle riprese analogiche è la sala cinematografica, motivo per cui molti film del biennio 2022-2023 hanno sfidato l’appiattimento dei contenuti streaming scommettendo di nuovo sulla pellicola.

Lo hanno fatto piccoli film indipendenti arrivati all’attenzione di Festival internazionali o anche agli Oscar, come Corsage – Il corsetto dell’imperatrice, Aftersun e To Leslie. Lo hanno fatto, per scelta etica e artistica Luca Guadagnino (Bones and All), Noah Baumbach (White Noise), Jordan Peele (Nope) e Steven Spielberg (The Fabelmans). «È stato un altro anno eccezionale» – ha affermato Steve Bellamy, Presidente della Motion Picture & Entertainment Kodak durante l’assegnazione annuale dei Premi Kodak lo scorso febbraio – «Dagli studenti di cinema ai registi indipendenti e agli autori, la pellicola è il medium preferito di chi vuole differenziare la propria arte dal mare odierno di contenuti digitali. Le proprietà visuali della pellicola rimangono senza pari e il processo di ripresa analogica impone disciplina e porta all’eccellenza, come dimostrano i numerosi riconoscimenti che questi film hanno ottenuto».

Saranno però i prossimi mesi i più ricchi di film in pellicola dell’ultimo decennio, per una coincidenza di date di distribuzione. La nuova stagione cinematografica, che si apre con il Festival di Cannes (16-27 maggio), già conta infatti l’atteso nuovo lavoro di Martin Scorsese, Killers of the Flower Moon e il film di apertura Jeanne du Barry di Maïwenn. Si aggiungono poi il già citato Nolan con Oppenheimer, Maestro, il biopic su Leonard Bernstein firmato da Bradley Cooper, il coloratissimo e geometrico Wes Anderson con Asteroid City e il più cupo e perturbante Yorgos Lanthimos con Poor Things, solo per citare i più celebri.

L’aspetto ancor più rilevante di questo ritorno all’analogico, che è più una solida presa di posizione che una scelta estetica passeggera, è che quasi tutti i film girati in pellicola e pensati per la sala sono stati già acquisiti per la distribuzione da una piattaforma streaming – Scorsese, fra tutti, ha annunciato l’accordo con AppleTV oltre un anno fa – generando un cortocircuito fra intenti artistici e logiche di mercato. Indizio del fatto che sala e streaming possono alimentarsi a vicenda pur rimanendo in competizione.

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