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Esclusiva

Febbraio 1 2023
La regia non è ancora cosa da donne

La stagione dei premi in corso rivela la brusca frenata del cinema al femminile nel 2022: le registe ci sono, ma pubblico e critica le ignorano

Riprendere il controllo sulla propria narrazione, inquadratura dopo inquadratura, storia dopo storia, che sia il ricordo autobiografico di Aftersun o la memoria storica di Till e The Woman King, o ancora la lotta sociale di Tutta la bellezza e il dolore e di Anche io.

Con lucidità, con spirito di rivendicazione e di sorellanza, con tenerezza, orgoglio e tormento, ciascuno dei titoli appena citati arriva sul grande schermo dalle donne per le donne. Racchiude un vissuto condiviso e sottinteso e al tempo stesso elementi di scoperta di una diversa esperienza da sé.

Il cinema al femminile è tuttora inascoltato, schiacciato da decenni dalle urgenze espressive maschili di una macchina da presa che si fa prolungamento del corpo. La donna diventa desiderio oggettificato. Osservata, non osservante, attraverso lo spioncino della camera. Quando la dinamica di questo sguardo si ribalta, scoprire i desideri delle registe e le immagini che ne derivano diventa, quasi sempre, un atto politico. Ignorare la loro presenza, nel dibattito contemporaneo e nella stagione dei premi, lo è anche di più.

Solo due anni fa la cinquina del Best Director agli Oscar, per la prima volta in oltre novant’anni di storia, includeva due donne, Emerald Fennell e Chloé Zhao. L’anno scorso soltanto una, Jane Campion, il cui Potere del cane non ha avuto rivali né dubbi sulla vittoria alla miglior regia. Entrambe rientrano nella scia di prestigiosi riconoscimenti alle tematiche e alle visioni femminili che da molto prima, e con più costanza, la Mostra di Venezia sta cercando di portare avanti. Gli ultimi tre Leoni d’oro (Chloé Zhao, Audrey Diwan e Laura Poitras) e il Leone d’argento a Jane Campion ne sono la prova più concreta.

La riscrittura dei paesaggi di Zhao in Nomadland, il coraggio dell’aborto clandestino di Annie Ernaux, nell’adattamento di Audrey Diwan (La scelta di Anne), la ribellione e la lotta di Nan Goldin attraverso l’arte e il documentario di Laura Poitras (Tutta la bellezza e il dolore) svaniscono quest’anno di fronte a un pilastro incrollabile di Hollywood: lo sguardo maschile.

Cinema al femminile: All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras
Cinema al femminile: All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras

Steven Spielberg, il favorito alla vittoria, in The Fabelmans ripercorre la sua vita, ma soprattutto il rapporto del sé adolescente con la madre. Todd Field azzarda il racconto di una direttrice di orchestra abusante e lesbica in Tár, ma Cate Blanchett è così straordinaria da far quasi dimenticare che il punto di vista è sempre quello dell’uomo dietro la macchina da presa. Daniel Kwan e Daniel Scheinert firmano il film più folle degli ultimi anni e di tutta l’edizione degli Oscar, Everything Everywhere all at Once, che pur essendo complesso da sintetizzare, rimane la storia di una donna immigrata. Persino Ruben Östlund (Palma d’oro a Cannes) nel suo Triangle of Sadness finisce per descrivere, attraverso il suo umorismo nero, una società matriarcale in cui sono i personaggi femminili a risaltare su tutto il resto.

Solo Martin McDonagh (Gli spiriti dell’isola), con una storia di amicizia maschile, sembra allontanarsi da questo trend e Women Talking di Sarah Polley pur essendo riuscito ad arrivare fra i dieci titoli della categoria Best Picture non è affatto considerato per la regia. L’unica vera eccezione, a sorpresa, arriva dall’Italia e, come spesso accade, dalle categorie considerate minori. Alice Rohrwacher ottiene infatti la candidatura al miglior cortometraggio con Le pupille, una storia di disobbedienza, di “bambine cattive” che in realtà sono soltanto libere. La regista dedica la candidatura a tutte le donne che lottano, quelle iraniane prima di tutto.

Al grande orgoglio italiano fa da specchio tuttavia anche la beffa più grande, quella a discapito di Aftersun. L’esordio alla regia di Charlotte Wells è il racconto intimo, a suo modo doloroso, di un ricordo felice: una vacanza della piccola protagonista con il giovane e inaffidabile padre. È lui, Paul Mescal, a ottenere la nomination Oscar come miglior attore protagonista, mentre il film e il toccante modo in cui reinventa il rapporto padre-figlia sullo schermo sono totalmente ignorati.

E mentre il Leone d’oro 2022, Tutta la bellezza e il dolore – il cui titolo originale è una citazione di Joseph Conrad (All the Beauty and the Bloodshed) – resta aggrappato a un’unica nomination Oscar, quella al miglior documentario, i grandi premi sembrano dimenticare ancora troppi dei film più significativi di quest’anno.

Gina Prince-Bythewood firma un action movie ritmatissimo (The Woman King), senza perdere un colpo nella rappresentazione dei combattimenti e al tempo stesso in grado di ritrarre una società al femminile ancora sconosciuta in gran parte dell’Occidente, quella delle amazzoni Agojie. Chinonye Chukwu in Till trova la forza di riaprire la ferita mai del tutto rimarginata del linciaggio del piccolo Emmett Till, attraverso il dolore e il bisogno di giustizia di una madre inarrestabile, che diede di fatto inizio al Civil Rights Movement. Maria Schrader, infine, ha il coraggio a soli cinque anni dallo scoppio del #MeToo di farne un film (Anche io), dove Harvey Weinstein è un fantasma che aleggia e infesta ogni scena, ma in cui sono prima di tutto le donne a scrivere, insieme, lo sviluppo e il finale della loro storia, riprendendosi il potere di cui lui le ha private.

Cinema al femminile: The Woman King
Cinema al femminile: The Woman King

Meritano ancora spazio e attenzione questi titoli, meritano di circolare al di là dei premi che potrebbero o meno riportarli in sala, perché tutto ciò che trattano si ripercuote nella quotidianità, non solo della condizione e nel cinema al femminile, allenando l’occhio del pubblico a riconoscere un modello diverso, un’esigenza espressiva diversa. It’s (not) a man’s world, si direbbe semi-citando in libertà James Brown: il cinema non è un mondo solo di uomini, che si inizi a notarlo.

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