Esclusiva

Gennaio 12 2024
Israele a processo: l’accusa di genocidio del popolo palestinese

Alla Corte internazionale di giustizia è stato chiesto di valutare se Israele stia commettendo un genocidio contro i palestinesi di Gaza.

Aia, Corte internazionale di giustizia. È cominciato giovedì 11 gennaio, a poco più di tre mesi dall’inizio della guerra in Medio Oriente, il processo contro Israele con l’accusa di genocidio del popolo palestinese. 

Il Sudafrica ha portato lo stato ebraico di fronte al più alto tribunale delle Nazioni Unite, sostenendo che il piano per «distruggere» Gaza provenga dal «più alto livello» degli apparati statali israeliani. «L’intento genocida di Israele è evidente dal modo in cui viene condotto questo attacco militare», ha dichiarato Tembeka Ngcukaitobi, avvocato dell’Alta Corte del Sudafrica, aggiungendo: «Nulla fermerà la sofferenza, se non un ordine di questa corte».

Lo stato del Sudafrica ha richiesto all’Aia di ordinare un cessate il fuoco delle operazioni militari che, dopo il 7 ottobre, hanno causato la morte di più di 23 mila palestinesi, secondo il ministero della Sanità di Gaza.

Critica la risposta dello Stato ebraico: «Oggi abbiamo visto un mondo alla rovescia. Israele è accusato di genocidio mentre sta combattendo contro il genocidio», ha dichiarato il Primo Ministro Benjamin Netanyahu. L’interesse del Sudafrica, uno stato non a maggioranza islamica o araba appare però «Puramente come umanitario, rendendo così difficile per Israele liquidare le accuse di genocidio come imparziali» spiega Andrew Wolman, docente senior di diritto penale internazionale alla City University of London, che aggiunge: «L’atto del Sudafrica è degno di nota. La sua storia illustra i peggiori timori di Netanyahu, quelli per cui un governo, dopo decenni di controllo oppressivo di un territorio, possa piegarsi alle pressioni internazionali e interne e cedere il suo potere».

L’obbiettivo del paese africano è che l’accusa di genocidio venga accolta dalla Corte penale internazionale perché per Israele, stato firmatario della Carta delle Nazioni Unite, comporterebbe un vincolo legale ai sensi dell’articolo 94 dello Statuto. «Una volta emessa una sentenza se questa non viene rispettata, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha l’autorità di prendere delle misure contro il paese che non le rispetta», spiega il professor Wolman. «In questo caso però, anche se il Tribunale emettesse una sentenza contro Israele, gli Stati Uniti e il Regno Unito potrebbero mettere un veto a qualsiasi azione del Consiglio di Sicurezza, rendendo inutili le sanzioni».

A determinare l’esito del processo sarà la decisione della Corte di stabilire se ci si trovi di fronte al genocidio del popolo palestinese oppure no. La sentenza verrà approvata se la definizione giuridica di “genocidio” verrà ritenuta applicabile al caso specifico delle oltre 23 mila vittime nella striscia di Gaza. «Gli studiosi di diritto sono divisi sul fatto che sia attualmente in corso un genocidio del popolo palestinese. Il crimine di genocidio ha infatti una definizione estremamente restrittiva: va dimostrato l’intento di Israele distruggere un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in tutto o in parte» spiega Wolman. 

Lo stato ebraico, segnatario della Convenzione sul genocidio del 1948, è obbligato secondo il diritto internazionale a prevenire e punire il crimine di cui ora è accusato.

Determinare il crimine di genocidio o meno da parte dell’Aia potrà richiedere molto tempo, anche anni. «L’attenzione ora si concentra sulle misure provvisorie, quella (improbabile) di sospendere le operazioni militari a Gaza o quella di consentire l’accesso alle missioni di accertamento dei fatti e di garantire la conservazione delle prove» commenta Andrew Wolman. La perplessità che il Tribunale possa imporre una tregua va avanti dal 2022, quando la Corte internazionale di giustizia si era già pronunciata con un ordine alla Russia di sospendere le operazioni militari in Ucraina. Il tentativo di fermare il conflitto era stato però ignorato. «L’esempio russo ci dice che il potere di applicazione del diritto internazionale è debole, almeno di fronte all’azione di una superpotenza. Ma questo era già risaputo. Il diritto internazionale, tuttavia, ha efficacemente inquadrato l’azione russa in modo da delegittimarla agli occhi di molti, soprattutto in Occidente» conclude il professor Wolman.