Esclusiva

Febbraio 28 2024.
 
Ultimo aggiornamento: Aprile 4 2024
«Mio nonno ucciso dal regime di Stalin»

La scrittrice Elena Kostioukovitch confronta le repressioni sovietiche al governo di Vladimir Putin

«Morì il 16 febbraio, lo stesso giorno di Alexei Navalny», racconta la scrittrice Elena Kostioukovitch, nata nell’Ucraina sovietica e naturalizzata italiana. Suo nonno era un detenuto politico a Kiev durante il regime di Josip Stalin. Alla famiglia arrivò un comunicato dall’ente statale delle prigioni, che parlava di un malore improvviso. «Dissero che si trattava di embolia polmonare, morte sopraggiunta per puro caso», ricorda Kostioukovitch. Dopo decenni è emersa la verità: «Oggi l’Ucraina è una democrazia e sono potuta entrare negli archivi. Ho scoperto che venne fucilato».

Quando ha saputo di Navalny, leader dell’opposizione russa deceduto in una colonia penale in Siberia, la scrittrice ha visto gli eventi ripetersi. L’emittente RT, finanziata dal governo di Vladimir Putin e bandita in Europa, ha comunicato che il dissidente era morto per un coagulo di sangue. «È una formula passepartout: si parla di un malore difficile da rilevare, che colpisce anche persone sane», continua Elena, «spesso significa che qualcuno è stato ammazzato e non sappiamo come». 

L’autrice cita l’attivista per i diritti umani Anna Karetnikova, ex dipendente del Servizio federale penitenziario russo (Fsin): «Lei è esperta dei gulag, i campi in cui sono rinchiusi migliaia di oppositori. Sostiene che, nei penitenziari, la tromboembolia può spiegare qualsiasi cosa». La malattia viene usata «dai medici carcerari in un senso figurato, leggermente ampliato», ha scritto Karetnikova in un post su Facebook. I dottori del Fsin le hanno detto che «una diagnosi così universale è difficile da dimostrare e in qualche modo conveniente».

A differenza del regime di Stalin, che nascondeva nel silenzio i suoi omicidi politici, «la cerchia di Putin mette in giro tante voci, che la stampa italiana non esita a ripetere», prosegue Kostioukovitch. Allude alla propaganda sulla guerra, che il Cremlino chiama «operazione militare speciale», accusando l’Ucraina di aver iniziato il conflitto e l’Europa di essersi armata per minacciare la Russia. «Il governo ha fatto lo stesso con Navalny», racconta, «abbiamo solo bugie e definizioni di comodo, ma non sappiamo né come né quando è morto».

L’opposizione russa ha perso il suo leader, a un mese dalle elezioni presidenziali. Elena non crede però che cambierà qualcosa: «I risultati del voto si sanno già, Putin prenderà l’82% con un’affluenza del 75%». Al momento sono voci, «fughe di notizie dai seggi elettorali», conclude, «ma anche se non saranno esatte, queste cifre sono verosimili». Poiché il presidente ha vinto le ultime elezioni con l’80% dei voti, «deve far vedere che ha guadagnato uno o due punti percentuali». In un paese in cui le elezioni non sono libere, Putin vuole mostrare che né la guerra, né le persecuzioni contro Navalny, possono incrinare il suo consenso. 

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