«Erano le cinque di mattina, ricordo boati forti come un terremoto. I russi stavano bombardando l’aeroporto di Kiev. Da quel giorno siamo entrati in un’altra dimensione», comincia così il racconto di Roberto Armaroli, chef bolognese proprietario di tre ristoranti a Odessa, in Ucraina. Quel 24 febbraio del 2022 Roberto è costretto a chiudere i battenti di tutti i locali, tranne di uno: “Antica Cantina”.
«Se mangi a sei livelli sotto la strada, puoi crearti il tuo rifugio per scappare dai rumori della guerra» – racconta lo chef -. È anche un modo per dare sicurezza alle persone che vengono da te». A dispetto del nome, “Antica cantina” è il più recente tra i locali aperti da Roberto. Inaugurato nel 2021, il ristorante nasce da un cumulo di macerie: «Il sotterraneo del palazzo era tutto distrutto, sono serviti ventiquattro mesi per ristrutturare. La mia indole italiana mi porta a preservare il passato mentre qui lo si vuole dimenticare, soprattutto il periodo sovietico», spiega Armaroli col suo accento metà romagnolo e metà lombardo. Racconta che al primo piano dello stabile, costruito nel 1832, ha vissuto il pittore Vasily Kandinsky. Gli interni del piano superiore sono stati progettati dall’architetto Francesco Boffo, autore anche della celebre scalinata Potemkin con vista sul Mar Nero. «Da qui sono passati tutti nomi illustri…e poi sono arrivato io», dice scherzando Roberto. Nella città di Odessa ha portato la cucina italiana fatta di ravioli e tortellini, con alcune note della tradizione francese: «Prima della guerra avevamo anche un’accademia culinaria, un modo per portare avanti le tradizioni e la cultura della buona tavola». Anche l’idea del ristorante come “fine dining”, esperienza gastronomica che unisce cibo e raffinatezza, è stata accantonata. La priorità, ora, è servire piatti buoni in un’atmosfera di tranquillità perché «non è questo il momento di stupire con effetti speciali».
Il conflitto con la Russia ha messo alla prova anche la logistica. Gli aerei che oggi volano nel cielo di Odessa sono carichi ma non di cibo. Così, i prodotti freschi come astici, vongole e ricci di mare stentano ad arrivare: «Abbiamo dovuto riorganizzare il menù. Prima servivo ostriche e caviale, adesso metto le uova di salmone che hanno un costo più basso», dice lo chef, «È tutto buono, ma tutto più semplice».
Quando Roberto ha avviato la sua attività aveva ottanta dipendenti. Oggi ne ha trenta, quasi tutte donne, proprio come la maggior parte delle persone che frequentano il locale. Molti cuochi sono scappati in Europa, altri sono andati al fronte a combattere. La gioia più grande è l’abbraccio al loro ritorno, «anche se questo non sempre accade», dice Armaroli dopo un attimo di pausa. Dall’inizio della guerra ne ha visti morire quindici, uccisi nel tiro al bersaglio di un luna park degli orrori. Alla sofferenza di chi parte si aggiunge quella di chi resta. «Alcuni mesi fa i russi hanno assaltato una fabbrica e rapito diverse persone» – racconta Roberto – «Così, ogni volta che c’è uno scambio tra prigionieri, una delle mie dipendenti piange perché nella lista dei rilasciati il nome del marito non compare mai».
A distanza di due anni a Odessa, nel buio della notte, cadono ancora missili e suonano le sirene. «La guerra sarà lunga» – conclude Armaroli – Dobbiamo avere la forza di andare avanti».