Esclusiva

Marzo 28 2024
Un codice per la strada dell’intelligenza artificiale

Alla Luiss il dibattito sul ruolo dell’Italia nella rivoluzione tecnologica e i limiti della regolamentazione

«Dopo aver inventato l’automobile, abbiamo creato il codice della strada», sottolinea Padre Paolo Benanti, presidente della commissione sull’intelligenza artificiale per l’informazione, «non era uno strumento per limitare la libertà delle persone, ma serviva a fermare gli incidenti». Il saio francescano lo distingue tra i colletti bianchi nella platea del The Dome, sala conferenze dell’università romana Luiss Guido Carli. «L’Unione europea ha preso una posizione molto precisa con l’AI Act», prosegue citando la prima normativa internazionale sugli algoritmi, approvata il 13 marzo dall’Europarlamento, «l’idea è creare le condizioni per mantenere la stabilità dell’innovazione nella struttura sociale, evitando che gli umani e le macchine entrino in conflitto».

L’esperto di etica della tecnologia è intervenuto durante la conferenza “Innovazione e Visione: l’Italia al centro della governance dell’AI”, organizzata dalla Luiss School of Government in collaborazione con il gigante tech Microsoft e la società di consulenza Fb & Associati. Alla sua sinistra è seduto il professore di computer science Giuseppe Italiano, che accetta la provocazione: «Le auto hanno raggiunto 50 milioni di utenti in 62 anni. Abbiamo potuto vedere cosa andasse bene e cosa no, mentre il mondo veniva coperto di strade asfaltate». Per arrivare allo stesso numero di consumatori «il modello linguistico ChatGpt ha impiegato meno di un mese, mentre il social media Threads solo due giorni», prosegue riflettendo sui limiti della regolamentazione, «cosa possiamo capire in così poco tempo?».

Un codice per la strada dell'intelligenza artificiale

Tra i temi dibattuti, il ruolo che può ricoprire la Penisola nella quinta rivoluzione industriale. «C’è un grande potenziale in questo paese e l’opportunità di un aumento del prodotto interno lordo del 18%», ha detto Anthony Cook, corporate vice president di Microsoft. «I software miglioreranno la vita dei cittadini, soprattutto nell’erogazione di servizi e assistenza sanitaria a una popolazione che continua a invecchiare», ha aggiunto.

L’ottimismo si alterna ai dubbi sul sistema produttivo nazionale. «Negli Stati Uniti i brevetti sugli algoritmi sono 28,5 ogni milione di abitanti», spiega il giornalista del Tg1 Marco Valerio Lo Prete, che modera l’evento, «nell’Eurozona sono 2,1, dieci volte in meno. In Italia appena 0,4 e solo il 5% delle piccole imprese ha implementato soluzioni di AI nell’ultimo anno».

Anche il professore Italiano è scettico: «Sui ventisette membri dell’Ue siamo terzultimi per competenze digitali di base e il 23% dei giovani è neet», acronimo inglese che indica i cittadini che non studiano né lavorano (Not [engaged] in Education, Employment or Training). Il docente ricorda che, secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, il 28% degli italiani è analfabeta funzionale, al pari della Spagna. «Solo la Turchia fa peggio di noi. Questo significa che molte persone non sanno comprendere quello che leggono. Figuriamoci nell’era dei deepfake cosa può succedere», conclude il docente.

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