Alle pendici dell’appennino laziale, a pochi chilometri dalla Villa Adriana di Tivoli, si trova il rifugio Fidolandia che ospita più di settanta cani abbandonati o maltrattati dai padroni. Il canile a cielo aperto è di proprietà dell’Ente nazionale protezione animali (Enpa) che qui ha costruito «un’isola felice», dice con un grande sorriso la volontaria Mariateresa Romeo.
Sono dieci in tutto le persone che dedicano il tempo libero alla cura dei cani, in particolare c’è Paolo, agente di viaggi in pensione, che si occupa di dar da mangiare agli animali e di pulire le gabbie. Vive con sei cani in casa, ma ne ha avuti anche dodici e ha deciso di trasferirsi, da Roma, vicino il rifugio per godersi la tranquillità del posto.
Poche macchine, ciclisti, animali e natura: questo è il panorama che Fidolandia offre ai visitatori che arrivano lì per dare una nuova vita agli animali abbandonati. Il fenomeno della rinuncia agli animali è cresciuto «probabilmente in concomitanza con la crisi economica e i prezzi delle cure veterinarie che si sono alzate negli ultimi anni e non ci sono aiuti per chi ha difficoltà economica», chiarisce la presidente dell’Enpa Roma Irene Riccitelli.
Se c’è una componente economica, non è da tralasciare l’elemento culturale perché spesso «non ci si rende conto che l’animale è un essere senziente e prenderselo a carico è una responsabilità. Non c’è, a volte, una vera consapevolezza nell’adozione: molti lo fanno con leggerezza o per moda», si lamenta la presidente.
Chi ha adottato Jack volendolo fortemente è stata Mariateresa: lo ha accolto in casa, insieme al marito, dopo che era arrivato al rifugio da qualche anno. «È ormai conosciuto come il mio più grande amore – dice l’attivista- anche se questo posto è un’isola felice, rimane pur sempre un canile: aspettava da tanto di essere adottato». I volontari del centro si alternano durante la settimana per fargli fare una passeggiata e per coccolarli, ci sono anche l’educatrice Sarah, la referente per le adozioni Tania e la veterinaria, la dottoressa Emanuela Parretta, che segue tutti gli animali. Ha curato anche la leishmaniosi di Jack, malattia infettiva trasmessa dalla puntura di insetti.
Ci possono essere imprevisti nel rifugio: bisogna prestare attenzione perché c’è la possibilità che si incontrino due cani nel momento sbagliato e «possono accadere cose non belle,- continua Mariateresa- i cani vivono comunque in una situazione di reclusione».
Gli animali presenti a Fidolandia non sono facilmente adottabili perché sono ormai già grandi. Mantenere i cani è oneroso, ma, in Italia, i randagi sono di competenza del sindaco e a sostentarli ci pensano i comuni. «Da noi ci sono cani che vengono da Tivoli, da Genzano e alcuni di questi sono mantenuti dai comuni in cui sono stati ritrovati che danno un contributo giornaliero, ma molti sono frutto di salvataggi direttamente di Enpa», afferma la presidente Riccitelli. L’associazione può contare su un sovvenzionamento autonomo basato sui tesseramenti (25€ all’anno) e sulle donazioni di privati mediante il cinque per mille.
Riccitelli sente particolare commozione nel parlare di una cagnolina. Zoe è stata recuperata due anni fa in un campo Rom della capitale e, dopo essere stata malmenata, è rimasta paralizzata. Si trova ora in centro che si occupa di cani disabili, ma resta in gestione dell’Enpa. Il danno midollare le impedirà di riprendere il controllo delle gambe, ma ha un carrellino che le consente di muoversi in maniera autonoma.
«Questa è una storia a lieto fine», chiosa la presidente. I monti attorno Fidolandia fanno da sfondo a una natura incontaminata, il silenzio è rotto solo dallo scroscio del fiume Aniene, dal fruscio delle foglie tra i rami e dall’abbagliare concitato che, man mano che ci si allontana dal rifugio, diventa un piacevole sottofondo per una camminata.