«L’anno che verrà sarà quello delle riforme che spaventano molti», ha voluto sottolineare Giorgia Meloni sul palco di Atreju. Tra le riforme che terrorizzano c’è l’autonomia differenziata, un campo di battaglia politico tra chi vuole approvarla e chi vuole portare la proposta di legge verso il referendum.
Che cos’è l’autonomia differenziata
«L’autonomia differenziata rappresenta l’attuazione dell’articolo 116, comma 3, della Costituzione,» spiega Ludovica Tripodi, collaboratrice parlamentare e docente di Diritto Costituzionale alla Luiss. Questa norma permette alle Regioni a statuto ordinario di ottenere maggiori poteri rispetto a quelli previsti dal loro ordinamento standard. Le Regioni possono richiedere più autonomia in settori chiave come sanità, istruzione, tutela del lavoro, ambiente, trasporti e infrastrutture. Tuttavia, alcune competenze restano esclusivamente dello Stato, come giustizia e sicurezza sul lavoro.
L’autonomia prevede la possibilità per le Regioni di trattenere le proprie entrate fiscali, senza redistribuirle su base nazionale. Nonostante sia prevista dalla Costituzione, l’autonomia differenziata non è mai stata attuata. Questo è dovuto alla complessità del processo di negoziazione tra Stato e Regioni e al timore che un’applicazione disomogenea potesse ampliare le disparità economiche e sociali tra i territori.
Favorevoli e contrari
Il principale argomento a favore della cosiddetta “legge Calderoli” è l’aspetto economico. Secondo i sostenitori, una maggiore gestione delle entrate regionali permetterebbe di ridurre gli sprechi e semplificare la burocrazia. Luca Zaia, presidente del Veneto, ha definito questo modello «un percorso di modernità, responsabilità ed efficienza».
Sul fronte opposto, il presidente della Puglia, Michele Emiliano, critica l’autonomia differenziata sostenendo che «rende diseguali i cittadini delle regioni italiane». Una gestione differenziata delle risorse potrebbe ampliare i divari economici e sociali già esistenti.
I LEP
I Livelli Essenziali di Prestazione (LEP) sono standard fissati dalla Costituzione che devono essere garantiti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. La loro definizione è affidata allo Stato ed è un passaggio obbligatorio prima che le Regioni possano richiedere maggior autonomia. Tuttavia, i LEP non sono stati ancora stabiliti.
La mancata definizione dei LEP ha generato critiche per due motivi principali: è difficile determinare con precisione le risorse economiche necessarie per garantirli e le Regioni possono avviare accordi di autonomia differenziata anche in assenza dei LEP. Si crea un paradosso. Senza i LEP, la distribuzione delle risorse finanziare avverrebbe sulla base della spesa storica, cioè quanto una Regione ha speso in passato. Questo metodo rischia di accentuare le disuguaglianze, poiché una spesa pregressa non riflette necessariamente i bisogni futuri.
A che punto siamo
Lo step successivo è quello di ammissibilità del referendum abrogativo. Dopo il via libera della Corte di Cassazione, la decisione spetta alla Corte Costituzionale che, secondo Ludovica Tripodi, si pronuncerà a favore: «Ci sarà un referendum che per essere valido necessiterà che il 50% più 1 del corpo elettorale voti per abrogare la legge. Attualmente la legge è monca perché in buona parte la Corte Costituzionale l’ha dichiarata illegittima. Tuttavia, per abrogarla definitivamente sarà necessario il referendum». L’autonomia differenziata resta un tema divisivo e complesso che riflette le tensioni politiche tra le Regioni e lo Stato.