Tra le rovine di Jabalya, nel nord di Gaza, Majed Al-Shorbaji, 27 anni, lancia un appello alle istituzioni italiane: «Signora Meloni, la prego. Qui non c’è acqua, non c’è luce. Voglio tornare in Italia a lavorare». Mostra il suo permesso di soggiorno e la carta d’identità. Neanche la tregua ora svanita ha aiutato lui e sua moglie incinta a lasciare la Striscia, mentre la situazione peggiora di ora in ora.
Majed è arrivato in Italia nel 2019 dopo una traversata nel Mediterraneo, accolto dalla onlus CIAC a Parma. La protezione internazionale gli ha permesso di ricostruire la sua vita a Fidenza: un lavoro stabile nella logistica, una casa e una comunità che lo ha accolto. Per quattro anni ha creduto di aver trovato un futuro. Poi, nel 2023, una telefonata cambia tutto. Suo padre, a Gaza, ha avuto un infarto e lui parte per stargli accanto, ignaro di ciò che lo attende.
Il 7 ottobre 2023 Hamas attacca Israele. La risposta è immediata e brutale: Gaza viene isolata e i bombardamenti si susseguono senza tregua. La famiglia di Majed è costretta a fuggire dal campo profughi di Jabalya, vagando senza meta alla ricerca di un riparo. Per un periodo si rifugiano in una scuola dell’UNRWA, finché anche quel luogo viene colpito. Senza altra scelta, continuano a spostarsi. Fame, sete e paura li accompagnano in ogni passo. «Non riesco a prelevare dalla mia banca», dice mentre mostra il suo bancomat, «ce li ho i soldi, ma non posso comprare cibo». Per qualche tempo trovano riparo nell’ospedale Al Shifa, ma decidono di andarsene appena in tempo, prima dell’assedio dell’Idf fra marzo e aprile 2024.
Eppure, in mezzo al caos, Majed trova qualcosa di inaspettato: Lasim, sua moglie ora incinta. Un legame che gli dà forza, ma anche una nuova urgenza. Deve andarsene. Scrive senza sosta al consolato generale italiano a Gerusalemme per ottenere i documenti necessari a lasciare Gaza, ma ogni tentativo si scontra con le restrizioni imposte da Israele. «Ogni giorno vedo persone partire, ma io resto bloccato», racconta.
A migliaia di chilometri di distanza, a Fidenza, qualcuno non si è dimenticato di lui. Il sindaco Daniele Malvisi scrive al ministro degli Esteri Antonio Tajani, chiedendo un intervento urgente: «Dopo 20 giorni dal cessate il fuoco, è inaccettabile che Majed sia ancora intrappolato». Anche la cittadinanza si mobilita: Potere al Popolo Fidenza lancia una campagna per farlo nominare “assessore alla pace”, nella speranza di attirare l’attenzione sulle sue condizioni. Una proposta che si scontra con limiti istituzionali e burocratici.
Intanto, la guerra non si ferma. Le bombe continuano a piovere su Gaza, distruggendo case, scuole e ospedali. Il 19 marzo un aereo atterra a Milano Linate ma lui non è a bordo. Il volo è riservato a nove bambini palestinesi gravemente malati e le loro famiglie. «Aspetto e spero», dice, la voce colma di fatica. «Voglio solo un posto sicuro dove vivere». Ma mentre le macerie si accumulano e il tempo scorre, la diplomazia resta immobile. E Majed continua ad aspettare.