Esclusiva

Aprile 21 2025.
 
Ultimo aggiornamento: Aprile 22 2025
L’uomo venuto dalla fine del mondo

Ecco chi fu Jorge Mario Bergoglio prima di diventare Papa Francesco

Un gesuita tra i gesuiti, un tifoso tra i tifosi, un uomo radicato nella sua terra, capace di attraversare la storia dell’Argentina tra luci e ombre, senza mai smettere di esserne figlio. Prima di diventare Papa Francesco, era semplicemente Jorge Mario Bergoglio, un ragazzo cresciuto nei quartieri popolari di Flores. Accento cantilenante, sguardo attento, una passione viscerale per il calcio, il mate amaro e, soprattutto, per gli ultimi, dove ritrovava Dio. Lo scorgeva nei volti della sua gente e lo cercava nelle preghiere sussurrate nelle chiese di periferia. Oggi il mondo lo ricorda così: il primo Papa sudamericano, il primo Francesco della storia, l’uomo venuto dalla fine del mondo. Un pontefice che, nonostante tutto, è rimasto sempre quel ragazzino, figlio di Buenos Aires.


Nato il 17 dicembre 1936 nel quartiere di Flores, da una famiglia di immigrati piemontesi, Jorge Mario Bergoglio crebbe respirando il rigore e la disciplina tipici della Compagnia di Gesù, un istituto religioso maschile di diritto pontificio, meglio conosciuto come gesuiti. Entra nel noviziato nel 1958 e prosegue la sua formazione tra filosofia e teologia. Diventa sacerdote nel 1969, in pieno fermento post-conciliare, e nel 1973, a soli 36 anni, è già Provinciale dell’ordine in Argentina. Bergoglio incarna così il modello di gesuita atipico: rigoroso, austero, ma con un cuore profondamente legato al popolo. Il suo modello è San Francesco Saverio, missionario spagnolo e gesuita. Nonostante la rigidità della formazione, Bergoglio non ha mai rinunciato a una grande passione terrena: il calcio. Tifoso e socio del San Lorenzo de Almagro, squadra del quartiere Boedo, nata dall’idea di un prete che voleva togliere i ragazzi dalla strada. Una fede calcistica che non nascondeva, anzi, ostentava con orgoglio. Più volte ha raccontato del legame tra il tifo e la comunità, tra lo stadio e la parrocchia, ribadendo che «il calcio è un linguaggio universale capace di unire e raccontare l’anima popolare di un Paese».


Dal 1976 al 1983 l’Argentina sprofonda, però, nell’oscurità della dittatura militare. Il regime di Jorge Rafael Videla porta con sé un’ondata di repressione senza precedenti: desaparecidos, torture, terrore. La chiesa argentina si divide tra silenzi, favoreggiamento e azioni clandestine di resistenza. Bergoglio, allora a capo dei gesuiti argentini, vive un periodo controverso. Le accuse, mai provate, riguardano soprattutto il caso di due sacerdoti gesuiti, Orlando Yorio e Francisco Jalics, sequestrati e torturati dalla giunta militare nel 1976. Secondo alcune testimonianze, Bergoglio avrebbe negato loro la protezione dell’ordine, esponendoli al rischio della cattura. Lui si è sempre difeso, sostenendo di aver agito per proteggerli e di aver negoziato in segreto per la loro liberazione. Nel 2013, Jalics stesso dichiarò di aver fatto pace con Bergoglio e di non considerarlo responsabile del suo arresto. Documenti e testimonianze, tra cui quelle riportate dal giornale “Avvenire” e da investigazioni indipendenti, hanno confermato che Bergoglio si mosse per salvare diverse persone perseguitate dal regime.


Passano gli anni, e nel ’90, finalmente, emerge come una figura centrale nella Chiesa argentina: nel ’98 diventa arcivescovo di Buenos Aires e poi nel 2001 Giovanni Paolo II lo nomina cardinale. È il periodo delle crisi economiche e sociali, della povertà dilagante in Argentina, e Jorge si distingue per il suo stile sobrio, il suo rifiuto dei privilegi e la sua vicinanza ai più deboli. E ancor di più l’opposizione ai governi progressisti di Néstor e Cristina Kirchner lo rende una figura divisiva (marito e moglie, entrambi ex presidenti del Paese. Il primo governò dal 2003-2007/ e la seconda dal 2007/2015 ndr.). Critica le politiche sociali che, secondo lui, alimentano assistenzialismo e dipendenza dallo stato. Si scontra duramente con il governo sul tema del matrimonio egualitario, che definisce “un attacco diretto al piano di Dio”. Ma allo stesso tempo lavora instancabilmente nei barrios più poveri, schierandosi contro la corruzione e il narcotraffico.


Arriva poi quel momento: Jorge diventa Francesco. Nel 2013, dopo le storiche dimissioni di Benedetto XVI, il conclave lo elegge Papa. Il primo pontefice gesuita, il primo sudamericano, il primo a scegliere il nome del Santo di Assisi. Un segnale di rottura, di cambiamento. Il suo pontificato è segnato da riforme, da gesti simbolici, da una Chiesa che si apre ai poveri e ai dimenticati. Ma anche da controversie, dalla difficoltà di affrontare gli scandali finanziari e le resistenze interne alla curia romana. Fino all’ultimo giorno, Jorge Mario Bergoglio è rimasto fedele alla sua identità. Un gesuita che ha scelto la semplicità. Un tifoso che non ha mai dimenticato il calcio di strada. Un Papa che non ha mai smesso di essere un uomo del popolo.

di Gabriella Guerra

Leggi per approfondire: Papa al Gemelli, quella finestra chiusa al decimo piano