Il giubileo ha attraversato la storia dei cristiani e della Chiesa per più di settecento anni ed è stato attore e testimone del suo cambiamento nel corso dei secoli. Da elemento di affermazione del potere papale di Bonifacio VIII in epoca medievale, l’anno santo è divenuto attestazione di un «mea culpa» della Chiesa grazie a papa Wojtyla all’inizio del nuovo millennio. Alcuni giubilei sono ricordati in quanto spettacolari, come quello di Alessandro VI Borgia che ha messo in scena la passione di Cristo al Colosseo, altri invece hanno fatto più rumore quando non sono stati celebrati, come è successo durante il pontificato di Pio IX, l’ultimo papa-re.
Quello del giubileo è un racconto che parte da un montone, yobêl in ebraico, o meglio da una sua parte: per scivolamento metonimico quel termine indicava il corno dell’animale usato durante le grandi liturgie del popolo di Abramo e il cui suono inaugurava un anno particolare che occorreva ogni cinquant’anni: il sabato dei sabati del tempo, uno ogni sette cicli di sette anni sabbatici. Lo yobêl sanciva il riposo della terra, shemittah, che, nell’accezione ascetica, significava «accettare una volontaria carestia prendendo le distanze dalla voracità produttiva», scrive Alberto Melloni in Il giubileo. Una storia.
Yobêl era collegato al verbo jobel, “restituire”: in quel contesto acquisiva il significato di riconsegnare a Dio la sua posizione di Signore, di liberare l’uomo dalla condanna del possesso e di affrancare gli schiavi. È il senso che l’evangelista Luca dà al messaggio di Gesù: il figlio di Dio ha iniziato la predicazione a Nazareth leggendo un passo del profeta Isaia che parlava di un anno eccezionale «per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore». Ma nella Bibbia non viene mai celebrato.
Ci ha pensato la Chiesa romana ad appropriarsi del giubileo ebraico risignificandolo in base a un’operazione chiamata “supersessionismo” o “teoria della sostituzione”, ovvero il principio dottrinale secondo cui il Cristianesimo aveva il diritto di prendere il posto di Israele nel patto con Dio perché il popolo di Abramo non aveva riconosciuto Gesù come il Messia. Il passaggio dal mondo orientale a quello romano è avvenuto grazie al Padre e Dottore della Chiesa San Girolamo che ha tradotto yobêl con il latino iobelaeus inserendo in questo modo una dimensione festosa assente nell’originale ebraico: il termine, infatti, era vicino al verbo iubilare (gioire).
Dopo la riforma gregoriana dell’XI secolo, anche il concetto feudale di satisfactio ha acquisito un diverso senso: il “fare abbastanza” del debitore nei confronti del creditore ha assunto un valore risarcitorio dell’onore di Dio ed è diventato il prezzo per i peccati commessi. Col tempo è stato codificato anche un sistema tariffario delle pene e si è generata così una teoria e una prassi dell’indulgenza dentro la Chiesa latina: l’anno santo è divenuto un’occasione per ottenere la “seconda penitenza”, pratica che consente di perdonare le colpe a chi ha già ricevuto il battesimo.
È in questo clima che è nato il primo giubileo di Bonifacio VIII che, secondo il cronista medievale Jacopo Gaetano Stefaneschi, ha «per padre il passaparola e per madre una presunta negligenza». Durante il 1299 tra i cattolici girava una vox populi secondo la quale sarebbe bastato recarsi a Roma l’anno successivo per ricevere non la normale indulgenza, che durava tre anni e tre quaresime, ma quella plenaria senza l’obbligo di partecipare a una crociata. Nel frattempo, iniziavano ad arrivare i pellegrini a Roma e diffondevano la notizia che i loro padri avevano ricevuto la remissione dei peccati cento anni prima. Papa Bonifacio VIII, per accertarsi della veridicità di questa voce, fece cercare in tutti gli archivi se nel 1200 vi fosse stato davvero un giubileo, ma nessuno trovò niente.
Visto il grande afflusso di fedeli al Vaticano, il 22 febbraio del 1300 Bonifacio promulgò comunque la bolla d’indizione con effetto retroattivo al Natale dell’anno precedente: chi avrebbe visitato le tombe dei santi Pietro e Paolo avrebbe ottenuto l’indulgenza plenaria. Stabilendo che il giubileo dovesse occorrere una volta ogni cento anni e non cinquanta come da tradizione ebraica, ha rimarcato l’eccezionalità della festa e si è posto come «il regolatore supremo delle priorità ultime e dunque delle urgenze politiche e teologiche, gestore autorevole dei flussi della devozione e del potere, della guerra e della salvezza». Il pontefice aveva compreso che il fedele avrebbe guardato al papato non solo come regolatore supremo della cristianità, ma anche come interprete di un’attesa di salvezza individuale.
Tutti i successori di Bonifacio che hanno avuto la possibilità di indire il giubileo lo hanno usato come un evento dal significato celestiale, ma anche terreno perché consentiva a ogni pontefice di consegnare il proprio nome alla storia. E così fu per seicento anni fino a quello del 1975. Dopo il Concilio Vaticano II, Paolo VI ha rifondato dottrinalmente l’anno santo associandolo non all’indulgenza derivante dalla potestà di Bonifacio VIII, ma a quella concessa dopo un gesto di devozione sull’esempio di Onorio III. Nel 1220 il papa avrebbe rimesso dinanzi a Dio le pene di quanti si sarebbero recati alla tomba dell’arcivescovo di Canterbury e martire Thomas Becket, atto considerato la «prima vera manifestazione» del giubileo.
Il nuovo modo di vivere la fede è stato condiviso anche dai successori di Paolo VI: quello indetto da Giovanni Paolo II all’inizio del secondo millennio ha avuto al centro il «mea culpa» della Chiesa che chiedeva perdono per la «acquiescenza manifestata, specie in alcuni secoli, a metodi di intolleranza e persino di violenza nel servizio della verità». L’ultimo giubileo, quello straordinario di papa Francesco nel 2015 che ha celebrato i cinquant’anni dal Vaticano II, ha modificato il concetto di indulgenza: è diventata parte del sentimento materno di Dio «fatto di tenerezza di compassione e di perdono». Di un anno santo epifania di «un potere centrale e strumento dell’esercizio spericolato» di una dottrina basata sulle indulgenze restavano sempre meno tracce.