Storia: Iran e Italia, un’apparente lontananza
I primi rapporti
I primi rapporti tra il territorio italiano e l’antica Persia iniziano tra il I e il II sec. d.C. È il periodo in cui l’impero dei Parti, nel mezzo delle tensioni dovute alle continue guerre territoriali, riesce a stabilire le prime relazioni con i Romani.
In seguito, è il secondo grande impero persiano, quello dei Sasanidi, a ottenere e soprattutto a mantenere relazioni stabili e durature con Roma, capitale e punto nevralgico dell’Impero Romano d’Occidente. Quello sasanide, nel periodo forse più importante della storia dell’antica Persia, è stato l’ultimo grande impero prima della conquista musulmana dell’area, che ha sancito il passaggio all’Islam.
Il Medioevo e i flussi commerciali
Per gran parte del Medioevo, le relazioni tra Italia e Persia rimangono di carattere economico. La celebre Via della Seta, incrociando nelle sue propaggini settentrionali il suolo persiano, ha rappresentato per diversi secoli una delle maggiori direttrici economiche mondiali, entrando persino nelle rotte commerciali del mercante veneziano Marco Polo.
Dalla dinastia Safavide all’era moderna
Riunificato come stato indipendente nel 1501 dalla dinastia Safavide, capace di imporre l’Islam sciita come dottrina ufficiale dell’Impero, l’Iran diventa (e resta) una monarchia governata dalla figura dello shah quasi ininterrottamente fino al 1979, anno della rivoluzione che segna il passaggio a repubblica islamica.
Il 3 gennaio 1979, durante il vertice internazionale di Guadalupe e poco prima della rivoluzione che ha portato al potere gli Ayatollah, Francia, Germania, Stati Uniti e Regno Unito si riuniscono decidendo, in via non ufficiale, di togliere la fiducia allo shah dopo le violente repressioni del dissenso interno. L’Italia, nonostante importanti interessi strategici nei territori iraniani, viene esclusa dall’incontro e da qualsiasi decisione sui rapporti tra la comunità internazionale e l’Iran.
L’avvento di Khomeini e la guerra contro l’Iraq
I rapporti italo-iraniani peggiorano con l’isolamento pressoché totale di Teheran in seguito all’ascesa dell’ayatollah Ruhollah Khomeini. La nuova guida spirituale del Paese decide di annullare, almeno per un primo periodo, i contatti con il mondo occidentale.
Nel 1988, nel corso della guerra tra Iraq e Iran, lo scandalo dei finanziamenti italiani al regime di Saddam Hussein compromette i sempre più deboli contatti tra Roma e Teheran. Alla fine del conflitto, le relazioni diplomatiche ed economiche tra Italia e Iran si normalizzano.
Gli anni 2000
Il 23 ottobre del 2001 c’è la firma, a Teheran, di un Memorandum d’intesa che porta a una crescita progressiva dell’interscambio commerciale italo-iraniano. Nel periodo 2002-2011, l’Italia diventa il maggior importatore di petrolio iraniano in Europa e il secondo esportatore dopo la Germania. Un dato da non sottovalutare, che rimanda a una considerazione di tipo culturale. La posizione italiana nei confronti dei Paesi del Medio Oriente e della questione palestinese, mai apertamente filo-israeliana o filo-americana, si è rivelata favorevole nei successivi rapporti tra Roma e Teheran.
Nell’aprile del 2016 è stato presentato alla Camera il disegno di legge di ratifica della Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia e l’Iran, sottoscritta nella capitale iraniana il 19 gennaio 2005. La Convenzione non è ancora entrata in vigore.
Il commento dell’esperto: «La situazione è molto fluida»
Francesca Maria Corrao è professoressa ordinaria di lingua e cultura araba alla LUISS, nonché membro della UEAI (Unione europea arabista e islamista) e del comitato esecutivo dell’EURAMAL (studiosi europei di letteratura araba moderna).
Che risvolti avrà l’uccisione del generale Soleimani nello scenario iraniano e internazionale nei prossimi cinque anni?
«C’è una serie di alleanze molto fluide nell’area mediorientale. Abbiamo una triangolazione curiosa, sul piano internazionale, tra Russia, Iran e Turchia rispetto alla questione siriana, che resta molto importante. Questo ha a che vedere anche con la politica interna perché Teheran ha bisogno di un’espansione verso l’esterno per poter costruire l’oleodotto che dalla capitale dovrebbe muoversi verso l’Iraq, la Siria e il Libano.
Questo risponde a un fattore economico interno contrassegnato da contrasti, con forze conservatici e moderate che si fronteggiano. È chiaro che l’economia è per tutte queste un problema fondamentale: se non si riesce a vendere abbastanza petrolio o gas per mandare avanti il Paese c’è poi la necessità di sviluppare altre forme di energia. E qui entra in gioco la Cina, che sostiene l’Iran nello sviluppo di fonti alternative. Quindi, sia sul piano interno che su quello degli esteri la situazione per me è molto fluida.
Internamente c’è un confronto fra due parti che rispondono a delle idee di espansione o verso occidente oppure sul nucleare: nel secondo caso però l’Iran diventerebbe subalterno alla Cina. Anche su questo fronte c’è una mediazione importante: il Paese è forte, ma non abbastanza da essere autonomo e indipendente al 100%».
Che ruolo avranno i giovani e le giovani iraniane?
«Il ruolo dei giovani è sempre importante per la vita di un Paese e di un’economia, perché sono quelli che materialmente lavorano e che la fanno vivere. Pur essendoci una tendenza da parte dei più anziani di voler indirizzare i più giovani iraniani, questi comunque dispongono di alti tassi di scolarizzazione e non sono così malleabili: la leadership dei movimenti di piazza è infatti spesso universitaria. In questo senso sono ottimista perché credo che il progresso andrà avanti nonostante le inevitabili reazioni».
In vista delle imminenti elezioni, a prevalere internamente saranno spinte antimperialiste o politiche liberali e progressiste?
«La partita è sul piano delle offerte elettorali: c’è il rischio che la demagogia vinca, ma questo non è poi così diverso da ciò che accade in altri Paesi della comunità internazionale. L’Iran è un Paese con una forte consapevolezza della propria tradizione culturale, sono molto orgogliosi e sensibili della loro identità. Il potere sta cercando di conquistarsi opinioni proprio grazie alla demagogia. In questa battaglia di slogan, però, vanno considerati anche gli attacchi da parte degli altri Paesi arabi, non solo dalle superpotenze occidentali. Ci sono molti, troppi conti aperti».
Le voci degli iraniani: «Il futuro dipende da fattori esterni. Non abbiamo paura»
Secondo la diplomazia dei due Paesi, Iran e Italia sono nazioni amiche. Lo testimoniano la folta comunità iraniana presente nello Stivale e le tantissime famiglie miste che abitano nel nostro Paese. Tuttavia, le recenti tensioni tra Washington e Teheran hanno avuto ripercussioni anche sui cittadini italiani di origine iraniana: Walter e Anita raccontano un Iran in bilico tra progresso e tradizione, con le sanzioni statunitensi a condizionare la vita quotidiana dei suoi cittadini.
«Quando sono andato in Iran, gli attacchi americani non erano ancora avvenuti, ma si veniva da un mese in cui Internet era stato tolto a causa delle proteste. La gente non scendeva in pizza da dieci anni e l’aumento del prezzo del petrolio è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, considerando che la situazione economica è già molto complicata di per sé». Walter è tornato da poco in Italia dopo aver trascorso tre settimane nel suo Paese di origine. «Per farti capire – continua –, quando vai a fare benzina devi passare una tessera e fino a circa i primi sessanta litri (mensili) questa ha un certo costo; quando li sfori, il prezzo triplica». Attualmente, il valore del greggio è di circa 10 centesimi a litro, che può sembrare molto inferiore al prezzo praticato in Occidente ma in realtà va parametrato ai redditi locali (300/400 euro al mese). «Tutto sommato è di poco inferiore al costo della benzina in Italia: è come se qui pagassimo 1 euro al litro».
Il blocco di Internet non avveniva da molto tempo: ogni volta che ci sono state proteste veementi, il regime lo ha sospeso – stavolta per due settimane – per evitare che le persone si organizzassero su Telegram. Tuttavia, durante le rimostranze successive all’attacco americano non si è voluto limitare la rete perché non c’era il timore che fossero proteste anti-regime, ma solo dimostrazioni pubbliche. «Se avessero bloccato Internet, avrebbero fatto ancora più danni oltre che l’ennesima brutta figura», dice.
La morte di Soleimani, arrivata dopo mesi di proteste contro il governo, ha modificato la direzione delle proteste verso il nemico esterno: «La gente in quell’occasione è scesa in piazza contro gli Stati Uniti. Per quanto gli iraniani possano odiare il governo, Soleimani veniva visto sì come un uomo di regime, ma anche come la persona che in quegli anni stava combattendo l’Isis». Lo Stato islamico è fortemente osteggiato nel Paese, al punto da essere considerato al pari di Israele e USA: «L’Isis è sunnita, quindi odia lo sciita più dell’ebreo e del cristiano. Questi credono semplicemente in un’altra religione, mentre lo sciita è per loro blasfemo». L’Iran, essendo sciita, è dunque un nemico giurato di Daesh. Si pensi allo scenario mediorientale: a nord, i curdi, asserragliati a Kobane, erano infatti armati da Soleimani e combattevano insieme ai siriani, mentre a sud erano di stanza le milizie sciite dall’Iraq e gli iraniani stessi, tutti uniti contro lo Stato islamico. La morte del generale iraniano ha scombinato ulteriormente le carte nel Medio Oriente.
Nonostante in tutta l’area i curdi siano da sempre visti come un problema, secondo Walter per gli iraniani non è così: «C’è una regione nel Paese chiamata Kurdistan, le cui relazioni con il resto dello Stato sono normalissime. Sono curdi iraniani, quindi a tutti gli effetti cittadini del Paese che provengono da famiglie di origine curda. La situazione è completamente diversa rispetto a quella turca: è un po’ come il rapporto tra altoatesini e italiani».
L’abbattimento dell’aereo ucraino pieno di cittadini iraniani da parte dell’esercito del Paese ha però dato nuova linfa alle manifestazioni anti-regime, tuttavia meno accese di quanto si pesasse: «Queste manifestazioni sono paragonabili a quelle che ci sono state in Italia per la strage di Ustica: la gente voleva la verità dopo che lo Stato aveva commesso quell’errore, negandolo per settimane; non erano proteste contro il regime in sé. Non è stato tolto Internet proprio perché non si trattava di rimostranze suscettibili di far cadere il governo». L’episodio delle bandiere non calpestate dagli studenti non era dunque un gesto di rivalutazione di Israele e Stati Uniti, quanto piuttosto un modo per sottolineare la grande responsabilità del regime nell’incidente: «Per quanto gli americani avessero sbagliato con Soleimani, la gente non era disposta a compiere gesti plateali per difendere il sistema».
Il 21 febbraio si sono tenute le elezioni politiche in Iran, con il voto dei giovani che potrebbe cambiare il futuro del Paese. Non secondo Walter: «Mi sembra improbabile. L’unica cosa che posso dire è che vincerà una figura simile a Rouhani, quindi un riformista aperto al mondo, non certo un Ahmadinejad: quello che il regime adesso vuole è apparire come uno Stato più moderno, pur continuando a seguire i dettami islamici». I candidati che possono essere votati sono sottoposti a una sorta di screening della guida suprema del Consiglio dei saggi, quindi sono tutte persone che Khamenei autorizza preventivamente a correre per le presidenziali.
Le nuove sanzioni statunitensi del 4 novembre 2019 hanno inferto un durissimo colpo alla quotidianità della popolazione iraniana, tanto da condizionarne l’alimentazione. «In Iran la dieta si basa su riso e carne – racconta Walter – adesso il costo della vita è aumentato al punto che una famiglia composta da quattro persone può mangiare la carne una volta ogni due settimane circa. È come se in Italia per tutto il mese si potesse mangiare ogni giorno aglio, olio e peperoncino, aggiungendoci una volta a settimana un po’ di parmigiano e una volta ogni due settimane una fettina di carne». Le carenze nella dieta di base sarebbero dunque una diretta conseguenza delle sanzioni. «La gente è esasperata e se la prende con il proprio governo: gli Stati Uniti saranno pure “satana” e le sanzioni ingiuste, ma è il regime a dover trovare una soluzione».
Con l’accordo sul nucleare dell’amministrazione Obama in vigore, l’Iran ha sempre rispettato le periodiche ispezioni e i parametri, evitando le sanzioni: «L’economia stava crescendo e anche la situazione con Israele era più serena. Con l’arrivo di Trump, le tensioni sono riprese e il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico è stato il punto di non ritorno. Più che le elezioni iraniane, sarà importante l’esito delle presidenziali statunitensi: se vince un democratico può cambiare di nuovo tutto e si può tornare verso un’“era Obama”, se rivince il tycoon la situazione potrebbe degenerare ulteriormente. In Iran ci saranno sicuramente grosse spinte per aiutare il candidato democratico che rivaleggerà con Trump, chiunque esso sia».
Le sanzioni contro l’Iran hanno avuto un’eco anche in Italia, dove alcuni correntisti bancari hanno subito pressioni dai loro istituti per chiudere il conto, senza che vi fossero ragioni economiche. «Ad aprile dell’anno scorso la nostra banca, Intesa San Paolo, ha convocato i miei genitori per chiedergli di chiudere il nostro conto perché mia madre è iraniana e io e mio fratello siamo nati a Teheran». Anita, studentessa italo-iraniana, avrebbe dovuto chiudere il conto senza un perché. «Abbiamo tutti e tre la cittadinanza italiana, ma alla banca non interessava perché doveva liberarsi di qualsiasi legame con l’Iran».
Il conto di Anita e della sua famiglia alla fine non è stato chiuso grazie all’intervento degli avvocati. «Noi non abbiamo mai versato soldi verso il nostro Paese e, quando il nostro legale ha chiesto una motivazione scritta alla banca, loro sono spariti. Del resto, non potevano scrivere: «Perché siete iraniani». Nel 2016 il dipartimento dei servizi finanziari di New York aveva multato Intesa San Paolo per aver fatto da tramite per alcuni finanziamenti tra USA e Iran, aggirando le sanzioni americane. «Penso che per evitare altri problemi vogliano eliminare tutti i clienti iraniani. A tanti miei amici hanno davvero chiuso il conto».
Queste sanzioni hanno portato alle proteste di novembre contro l’aumento del prezzo della benzina. «L’Iran non è un Paese povero, ma se aumentano i prezzi continuamente è normale che arriva il momento in cui la gente non ne può più». Secondo Anita sono state proprio le sanzioni americane a spingere la gente a muoversi contro il regime. «Gli iraniani sono stanchi ma finché c’è Khamenei si può fare ben poco. Il suo regime è appoggiato dai militari e dalle famiglie religiose del Paese, che ovviamente traggono profitto dalla loro posizione. A marzo ci saranno le elezioni, ma i candidati vengono selezionati dal governo quindi non servirà a nulla il voto del popolo per cambiare qualcosa».
«Il regime funziona a momenti – spiega Anita – quando vede i primi sintomi del dissenso fa diverse concessioni, come permettere alle donne di entrare negli stadi, per evitare le proteste. Poi ci sono momenti in cui ti fermano per strada per fare controlli o solo per dirti che l’hijab non è messo bene». Alle donne è stato concesso di assistere alle manifestazioni sportive solo lo scorso anno, ma questo sembra a molti un contentino per metterle a tacere più che un diritto guadagnato. «Ok, posso entrare negli stadi. Ma se devo vestirmi come dici tu che cosa me ne faccio dello stadio?», Anita si riferisce al divieto di indossare abiti attillati o scollati, trucco e smalto alle unghie. Le donne iraniane non possono uscire con il capo scoperto, una legge che vale anche per le bambine dai 7 anni in su. Le violazioni di questa norma possono essere punite con una multa o con un periodo di detenzione.
In Iran non ci sono stati sempre questi obblighi «Mia madre ha conosciuto la libertà, durante la sua adolescenza poteva vestirsi come voleva, poi a un certo punto è dovuta sottostare alle regole dell’Ayatollah. Ecco perché, come molti della sua generazione, è scappata dal suo Paese. Per loro è stato terribile vedersi portare via la libertà che conoscevano, ma per le ragazze di oggi è peggio. Loro vedono il mondo su social come Instagram, grazie all’uso di VPN, e sanno di non poter vivere come le altre ragazze». Sotto l’obbligo del velo, però, le donne iraniane hanno grande forza e coraggio. «Quando io torno a Teheran stringo forte il mio hijab per paura, mentre mia nonna non ha paura di nulla. Una volta dei soldati l’hanno fermata perché il suo velo era messo male, lei ha risposto: «Ah sì? non mi guardate allora». Durante l’onda verde aveva nascosto due ragazzi nel suo garage non curante delle conseguenze, io avevo 16 anni e me li ricordo bene».
L’associazione “Alefba” dal 2008 si occupa dell’integrazione degli iraniani a Roma. Alice e suo marito, vicepresidenti, raccontano chi sono coloro che hanno lasciato Teheran per vivere in Italia.
Di che cosa si occupa “Alefba”?
«Il nome “Alefba” nasce dall’unione delle prime due lettere dell’alfabeto persiano. È un’associazione italo-iraniana che si occupa principalmente di promuovere la cultura persiana qui a Roma. Organizziamo eventi soprattutto per italiani, come presentazioni di libri tradotti dal persiano, concerti di musica tradizionale iraniana, conferenze su vari argomenti, oltre a corsi di italiano per iraniani. Sono tanti gli italiani coinvolti dal nostro progetto: è soprattutto a loro che vogliamo far conoscere questa cultura».
Quanto è grande la comunità iraniana? Ce ne sono molti a Roma?
«In Italia ci sono circa 40mila iraniani, almeno 10mila di questi solo a Roma. Si tratta perlopiù di studenti universitari: ne arrivano mille l’anno. Ci sono molti immigrati che sono arrivati qui ai tempi della rivoluzione, ma molti altri sono venuti sin dai tempi dello Scià. Questa è la differenza con le altre comunità, il tipo di immigrazione iraniana è in genere di alto livello culturale; ciò dipende sicuramente anche dalla popolazione migrante, composta per il 35% da giovani. Molti ragazzi scelgono l’Italia perché qui è più semplice ed economico frequentare l’università rispetto agli Stati Uniti, in più sono incentivati da diverse borse di studio. È raro che poi tornino in Iran: vanno via perché non vedono prospettive future, sono stanchi e sfiduciati».
Come ha reagito la comunità iraniana a Roma agli eventi degli ultimi mesi?
«La maggior parte degli iraniani è contro il governo: sono rimasti tutti sgomenti quando hanno ricevuto la notizia dell’aereo abbattuto. Molti avevano paura di viaggiare, c’è persino chi ha cancellato il proprio biglietto per tornare a casa. Per quanto riguarda i rapporti con l’America, in realtà l’odio che viene mostrato è frutto della propaganda del governo. Molti di loro hanno ancora il sogno americano, vogliono andare a studiare e vivere lì. Nella nostra associazione nessuno aveva paura che scoppiasse una guerra contro gli Stati Uniti: gli iraniani hanno paura soltanto del regime e vogliono andare via dal Paese».